Stanisław Dygat, voce capricciosa e ribelle del Novecento polacco, cantore e distruttore di una classe frustrata.
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di Francesco Annicchiarico
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Clicca qui per leggere un estratto di Disneyland in traduzione italiana.
Tanto tempo fa, in preparazione per esami universitari andati poi male, alla solita famelica voglia di partenze e novità, ma soprattutto in un periodo di capacità linguistiche non così affilate, chiesi a un’amica polacca un consiglio su qualche libro in lingua, per potermi esercitare. Ero in grado di leggere in polacco, anche se a stento.
Siccome ho sempre pensato che per imparare qualcosa di complesso servisse un metodo brutale, e vai a capire il perché, l’amica in questione mi girò qualche nome celebre, tanto per spaventarmi: il grande Gombrowicz, incomprensibile per me, Kazimierz Brandys, Iwaszkiewicz e qualche altro di cui persi traccia. Tutti tradotti in italiano, cosa che su di me esercitava un certo fascino, in quell’epoca di solare ignoranza, perché pensavo che qualcun altro prima di me si fosse trovato nella mia stessa situazione di dover chiedere consigli letterari, magari anche nello stesso bar del centro di Napoli, o forse in un altro bar di un altro centro storico italiano. E così via di fantasticherie.
Di quella lista mi restò impresso il nome Dygat, Stanisław, scrittore varsaviano, ricordato perlopiù come autore de Il lago di Costanza (titolo approssimativo, trattasi del celebre Jezioro Bodeńskie). Scrittore varsaviano. Dygat.
Occhio a Wikipedia:
Stanisław Dygat, classe 1914, morto a Varsavia nel 1978. Fu autore di sei romanzi (tra questi Podróż, graziato da una meravigliosa traduzione di Feltrinelli nel 1960, con il titolo Il viaggio) e alcune raccolte di racconti che segnarono un’epoca. O forse no, non segnarono quell’epoca di martiri e soffocamenti, ma ne parlarono con borghese distacco, quasi ignorandola. Da uno dei suoi libri, Disneyland, venne tratto un film ritenuto classico, Jowita, per la regia di Janusz Morgenstern nel 1967.
Niente di più, niente di meno: queste le informazioni che riuscii a recuperare, e tanto bastò a incuriosirmi.
Di lì a poco partii per la Polonia a tentare di imparare il polacco, o forse soltanto a testare le mie conoscenze sgangherate e ostinate della lingua. Accettai di lavorare qui e là per mantenermi, fortuna volle che non ne avessi così bisogno, quindi era ottima la scusa per poter spendere tutto ciò che guadagnavo dagli antiquari di libri sparsi per il centro.
Ora: chi è avvezzo a queste cose, come i meravigliosi lettori del nostro blog, sa bene che in Polonia vige una strana forma di politica editoriale, per la quale i libri vengono ristampati in base a irragionevoli criteri. Nelle librerie si trovano solo prime edizioni, o in rari casi di successo, seconde ristampe. Gli altri casi, soprattutto per quel che riguarda i classici, praticamente non esistono, niente da fare: semplicemente non si trovano. Dunque, antiquari.
Va da sé che di Jezioro Bodeńskie manco l’ombra (sarebbe stato ristampato da Świat Książki solo molto dopo), ma trovai un’altra perla di Stanisław Dygat, dal titolo Disneyland.
Disneyland, in breve, è la storia di Marek Arens, un ragazzotto di Cracovia, sognatore e distratto dalle proprie fantasticherie. Suo padre lo costringe allo sport, e fa bene: di famiglia medio borghese, avvocati celebri in città, anche se trapela una certa ristrettezza economica, Marek ci prova con il nuoto, con l’atletica e col pugilato, mescolando un po’ le cose, ma diventando in breve un pugile conosciuto. I suoi divorziano, pare a causa del fatto che sua madre fosse una mezza arpia e suo padre un totale imbranato. Lui, intanto, viene convinto a proseguire gli studi dal suo allenatore, e anche dal nuovo compagno di sua madre, manco a dirlo, un imbranato peggio di suo padre. Riesce tuttavia anche negli studi, il nostro Marek, e le ragazze sembrano non interessarlo più di tanto. C’è chi lo prende in giro per quelle sue orecchie a sventola, persino quando è sul ring. È tutto sport e famiglia sgangherata, e frequenta i circoli artistici di Cracovia solo perché obbligato.
Un giorno si imbatte in una festa in maschera, a cui non era in realtà neanche invitato. Lì viene praticamente sedotto suo malgrado da una misteriosa ragazza mascherata, una tale Jowita, che lo bacia appassionatamente e lo molla su due piedi, davanti all’ingresso della villa. Si capisce, che a uno come Marek, celebre pugile cittadino di buona famiglia, non lo si lascia così. Il ragazzo cerca in tutti i modi di capire chi sia questa misteriosa e avvenente ragazza, ma inciampa nell’amore di un’altra, con cui intraprende la sua prima relazione adulta, propriamente detta. E così via, gli anni passano, Marek diviene un architetto, ma il suo pensiero torna sempre a Jowita del mistero, e il mistero si infittisce.
È stato il primo romanzo di questo autore che io abbia letto. Aveva e ha alcune qualità che lo rendevano accessibile: una lingua intuitiva, (per qualcuno del mio livello, suppongo che l’autore non avesse in mente me quando l’ha scritto), un’ambientazione puramente cracoviana, una storia d’amore, personaggi giovani, famiglie incasinate, difficoltà famigliari, il sempre difficile passaggio dell’adolescenza all’incertezza dell’età adulta, la professione, lo sport, le manie e i vizi della classe sociale di appartenenza. In un periodo storico compreso tra gli anni quaranta e primi sessanta.
Una prosa frizzante e vitale, forse un po’ troppo in linea con alcuni stilemi di quegli anni, ma sorprendente nel vedere come l’autore se ne fregasse del contorno al piombo fuso sotto cui si nascondevano molti altri scrittori suoi contemporanei. Non che fosse giusto farlo, ma anche a distanza di anni quella scelta precisa di voler prendere le distanze dal proprio mondo e cercare di raccontare una storia semplice e compatta, con l’humour intelligente di chi non indulge in troppi manierismi e lascia il segno proprio marcando la distanza, mi sembra ancora vincente.
Dygat era ed è ancora nuovo, lontano a mio avviso anni luce dagli altri scrittori del suo tempo e capace di trasmettere una visione del suo paese davvero unica. La storia quasi gli scivola addosso, come se la realtà in cui sono immersi i personaggi avesse poco da dire a loro e ai lettori, e l’autore la considerasse come semplice sfondo. Proprio come dovrebbe essere per la maggior parte dei ragazzi, più occupati ad innamorarsi che a rendersi conto dei problemi e degli impedimenti. Disneyland è l’opera di un autore a mio avviso paradigmatico, uno dei pochi a essere davvero traducibile, capace di mostrare il meglio della letteratura polacca.
Clicca qui per leggere un estratto di Disneyland in traduzione italiana.