Paw królowej è l’opera più travolgente ed estrema di Dorota Masłowska, autrice da anni volto dell’avanguardia letteraria in Polonia.
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di Francesco Annicchiarico
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Dorota Masłowska è la causa per cui molti della mia età hanno cominciato a seguire la letteratura polacca. Il suo debutto del 2002 è stato incendiario, di quelli che presagiscono a un seguito altrettanto incerto e affascinante. Wojna polsko-ruska pod flagą biało-czerwoną (Prendi tutto è il suo titolo italiano, traduzione di Corrado Borsani Ucci, uscito per Frassinelli nel 2004) è il libro che ottiene un successo clamoroso in Polonia e in tutta Europa, e catapulta l’autrice nell’Olimpo della letteratura che conta. Vince subito il Paszport Polityki, e va in finale al Nike. Divide la critica, si crea il suo pubblico. Entrambe le categorie affermano con decisione che la Masłowska è qualcosa di mai visto prima, o quasi. Così il primo romanzo dresiarz scompiglia, destabilizza l’ambiente letterario, ma non di certo le vendite, che pare raggiungano i quarantamila esemplari.
Quella scrittura così originale che attinge dai classici del ‘900, Gombrowicz nume tutelare, e ne ricava armi con cui dichiara guerra aperta allo stile letterario medio-borghese, in voga in quegli anni e un po’ anche oggi. Pare quasi di sentire sghignazzare l’autrice che cerca di frantumare il muro asfissiante delle convenzioni letterarie, con tutta la forza e la rabbia della periferia tossica della capitale.
Passa qualche anno, tre di preciso, e nel 2005 spunta Paw królowej, sempre per i tipi di Lampa i Iskra Boża di Varsavia, che non potrebbero essere più felici. Dopo il debutto di tre anni prima, che risolleva le sorti della casa editrice come il bacio del principe di Biancaneve, grandi speranze sono nutrite per questo libro, di nuovo splendidamente corredato dalle illustrazioni di Maciej Sieńczyk.
Ed eccoci dunque a noi.
Cos’è Paw królowej?
In meno di 150 pagine si svolgono le storie di quattro personaggi che cercano disperatamente di avere successo, chi nel giornalismo, chi nella musica, chi nello show business. I nostri si scontrano con l’assurdità delle rispettive esistenze, si torturano con luoghi comuni e abitudini ai limiti del parossismo, alcuni muoiono, altri restano solo infelici, altri evolvono verso un futuro ancora più patetico del proprio attuale presente.
E basta così. Nel libro accade poco più di questo.
Ciò che lo rende oggetto di interesse per PoloniCult, oltre alla testardaggine di chi vi scrive, è ovviamente Dorota Masłowska, che giganteggia su ogni pagina, su ogni parola del libro. L’intera opera è composta come una lunga canzone hip-hop. Una piosenka, in tutte le sue possibili accezioni. L’autrice irrompe nella narrazione, la narrazione è l’autrice stessa. Diventa MC Dorota, cantore o MC appunto, a tessere le vicende di Patrycja Pitz, di Stanisław Retro e di tutti gli altri. È tutto distribuito in misure e battute, in rime in alcuni casi serratissime, in altri momenti più indulgenti verso il lettore e verso un’idea di poema dal respiro più ampio, soprattutto nelle parti centrali del testo, dove si attraversano alcune fasi più contemplative.
Ma non si commetta l’errore di pensare che la Masłowska si abbandoni a una convenzione simile: è proprio quando gli altri frenano che lei accelera, spingendo il ritmo a velocità anche insostenibili.
Il suo genio è ovunque, lei è ovunque, nel testo e fuori di esso. Più che leggere un romanzo, o semplicemente un libro – non saprei in quale altro modo definirlo – si è invasi dal suo rap a filo di voce, spietata e implacabile, le sue rime acide e surreali sparate dritto negli occhi, dritte al naso. Una frase di Paw królowej presa a sé è di difficile traduzione, due sono un incubo, ma sulla lunga distanza si svela una struttura complessa e affascinante che riesce a conquistare il lettore, ammesso che il lettore si conceda il tempo di rileggere, dato che l’autrice corre senza nessuna paura. E con la leggerezza di chi prende a schiaffi i critici, il pubblico, i media, o la stessa lingua polacca.
La Masłowska non racconta, illustra. Si ha l’impressione che usi le parole come chi le usa per non perdere altro tempo, come se fosse questo l’unico modo per dare sfogo a una personalità straripante, prendendosi gioco della convenzione stessa della lingua. Brucia tutto perché sa cosa fare dopo, una volta acquisito lo spazio vitale necessario al proprio ego smisurato.
Non si salva nessuno: si accanisce contro la tv, amata e odiata, contro il capitalismo chiassoso e volgare, ma anche contro i piccoli sentimenti, come ad esempio quelli di una cassiera di supermercato che si invaghisce di un cantante sfigato che vuole emergere a tutti i costi.
La storia non è il fulcro del libro, non lo sono neanche i personaggi, che in alcuni casi vengono tenuti su un piano secondario. Il punto è Paw królowej stesso, è la sua autrice che prende sul serio solo se stessa e la musica che si crea dalle sue rime a dir poco acrobatiche. Paw królowej è una canzone, è questo, centocinquanta pagine usate per modellare una lingua nuova. O forse no: è la creazione del personaggio letterario e artistico che è e non è Dorota Masłowska. La sua gigantesca sagoma si impone su tutta la letteratura nazionale.
Vince il Nike subito, ovviamente.
Ma cosa non è Paw królowej?
Non è un romanzo che può essere letto separandolo dalla figura della sua autrice. Le sue opere successive, tanto il teatro quanto la produzione di musica vera e propria, sono categorie in cui la nostra ha continuato a esprimersi con successo.
Indissociabile, si diceva, da Dorota Masłowska. Si deve accettare la sua onnipresenza in ogni pagina del libro. Non si può tradurre Paw królowej in italiano senza spiegare chi sia l’autrice. Cosa che di per sé sarebbe auspicabile per qualsiasi autore, e proprio per questa ragione diviene necessario farlo per lei, per la regina e il suo pavone.
Anche a distanza di tredici anni dalla sua uscita Paw królowej resta un oggetto non facilmente identificabile. È di certo grande letteratura, che suscita sempre una reazione forte, positiva o negativa che sia. È grande letteratura che non ha alcun interesse a suscitare simpatia. Tutt’altro: il disprezzo e il sarcasmo sono dietro l’angolo, pronti a mordere a ogni occasione possibile. Questa la pecca più grande: l’idea compiacente di non dover piacere a nessuno, che alla lunga stanca e risente essa stessa di già letto, di già visto. O sentito, in questo caso.