Dieci libri polacchi dagli anni Dieci per fare un punto di quello che si è scritto e si è letto in Polonia negli ultimi anni
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di Salvatore Greco
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Mi scuso preventivamente con tutti coloro i quali, aprendo questo articolo, avranno mescolato la curiosità a uno sbuffo di impazienza verso l’ennesima lista di fine anno. La verità è che il passaggio di decina nel conto degli anni e delle cose umane suggerisce, se non addirittura impone, uno sguardo di prospettiva, a prescindere da quanto questo carico di simboli sia legittimo.
Di certo gli anni tra il 2010 e il 2019 per la Polonia sono stati tante cose diverse: sono stati il primo decennio vissuto interamente dentro l’Unione europea, hanno mostrato una costante ma asimmetrica crescita economica, hanno introdotto nel dibattito temi nuovi come ecologia e migrazioni, hanno preparato e poi celebrato il centenario della riconquistata indipendenza (1918-2018).
In letteratura il simbolo di questi anni Dieci sarà quasi inevitabilmente il Nobel tornato in Polonia, nelle mani e con la penna di Olga Tokarczuk. Sarebbe ingrato tuttavia rinchiudere le gemme letterarie del decennio nel bozzolo di un –pur meritatissimo e celebratissimo- successo internazionale. Quelli che salutiamo sono stati dieci anni di libri che hanno trasformato, ognuno a modo suo, il panorama letterario. Alcuni entrandoci a pieno titolo, altri infilandosi di straforo dalla porta di servizio.
Ho deciso di compilare questa lista evitando di pensarla come una classifica, e metto subito le mani avanti dicendo che l’ordine di apparizione è banalmente cronologico. Come ogni punto di vista, riflette il mio sguardo su questi dieci anni di letture polacche, anni in cui ho letto libri splendidi, altri passabili, qualcuno orrendo e molti ignavi. Ho cercato di tenere dentro dieci del primo tipo ignorando gli altri, spero di esserci riuscito.
Ho provato poi ad andare oltre il mio gusto, là dove era possibile attuare questo tipo di straniamento delle preferenze, e sono andato in cerca di tendenze e filoni per rispondere a una domanda complicata: dove è andata la letteratura polacca in questi ultimi dieci anni? La tendenza che mi pare più chiara, e un po’ preoccupante, è il ritrarsi della letteratura propriamente detta. In una lista dei libri polacchi degli anni Zero, avrei certamente inserito dei poeti, in questa degli anni Dieci non ce n’è nessuno. Mentre ci sono ben tre autori di reportage e memoire, generi in continuo sviluppo e apprezzati dai lettori affamati di storie vere. Come ha notato la stessa Olga Tokarczuk nel suo discorso di premiazione a Stoccolma, chissà che in questa morboso desiderio di verità, tradotto in diffidenza verso la fiction, non ci siano i semi della fine della letteratura per come la conosciamo.
Come ultima premessa, ho cercato di non avere timore reverenziale per nessuno. Ho tenuto fuori da questa lista scrittori che amo molto e che però non hanno firmato nulla di memorabile nel nostro periodo di competenza. Ho inserito invece nomi di emergenti o persino esordienti che però hanno dato una svolta originale in termini di scrittura o di temi trattati e dai quali ci si può aspettare più di qualcosa nel prossimo futuro.
Come sempre, il dibattito è aperto. Buona lettura.
Oggi disegneremo la morte – Wojciech Tochman – Wydawnictwo Literackie 2010, Keller 2015
Primo dei tre titoli di non-fiction in questa lista, Oggi disegneremo la morte (Dzisiaj narysujemy śmierć il titolo originale) è una pietra miliare nel modo in cui pone e sceglie di affrontare il suo tema centrale: il genocidio in Ruanda del 1994. I conflitti in Africa e, più in generale, i fatti del mondo non allineato avevano goduto di grande interesse negli anni Sessanta e Settanta in Polonia. Da un lato la cosa derivava da un orientamento internazionalista affine per natura alla Polonia socialista, dall’altro perché i Paesi del patto di Varsavia avevano interessi geopolitici nelle rivoluzioni africane. Fatto sta che dopo Kapuściński, solo Woiciech Jagielski si era occupato davvero di questa parte di continente prima che arrivasse Wojciech Tochman. A differenza di Jagielski, e dello stesso Kapuściński, Tochman racconta il genocidio ruandese quando è già finito, quanto più distaccato possibile gli riesca, dando voce a vittime e carnefici, orfani, vedove e complici, manipolati e manipolatori, dando un quadro pieno e ricco a una delle pagine di storia più spaventose del ventesimo secolo. Di questo tipo di reportage, in grado di raccontare il mondo, avremo ancora bisogno.
Morfina – Szczepan Twardoch – Wydawnictwo Literackie 2012 – Inedito in Italia
Nel 2012 Szczepan Twardoch ha trentatré anni e alle spalle cinque romanzi, un paio di raccolte di racconti e dei saggi, tutti pubblicati con editori minori. L’esordio con Wydawnictwo Literackie arriva quell’anno con Morfina, ed è come un secondo battesimo letterario per lui. Morfina è un romanzo possente e inebriante come la sostanza che gli dà il titolo, ed è il libro che ha cambiato la scrittura di Twardoch portandola a un livello superiore. La storia si apre a Varsavia nell’autunno del 1939 poche settimane dopo la capitolazione di fronte all’invasione nazista. Tutti sembrano turbati dalla nuova realtà e pensano al da farsi. Tutti tranne Konstanty Willeman, all’apparenza ufficiale dell’esercito polacco e impeccabile padre di famiglia borghese, ma in realtà gran viveur, puttaniere e morfinomane. Nel trambusto dell’occupazione, a Willeman importa solo di poter avere accesso alla sua morfina e vive cinicamente al di sopra di tutto. Per altro gode di grandi privilegi visto che è figlio di un vecchio ufficiale prussiano, porta un cognome tedesco e parla la lingua del Reich senza ombra di accento straniero. Morfina è un romanzo letteralmente psichedelico, annegato nell’alcool e nella droga, scandito dalle azioni ripetute dall’identità spezzata del protagonista che martella incessantemente, pagina dopo pagina, senza abbandonare mai il lettore con un’inquietudine esistenziale che si rifà al Dostoevskij maturo o, per guardare in casa, a Witold Gombrowicz. Una pietra miliare.
Ciemno, prawie noc – Joanna Bator – W.A.B. 2012 – Inedito in Italia
Il titolo in italiano suonerebbe più o meno Buio, quasi notte. E in effetti i climi cupi la fanno da padrona in questo romanzo che ha portato Joanna Bator a vincere il premio Nike e a spiccare una carriera ancora in piena fase ascendente. Le vicende del romanzo si svolgono a Wałbrzych, cittadina apparentemente anonima che nasconde un passato florido e mostra un presente di profonda decadenza, comune a tanti centri di una regione, la Slesia, colpita dalla deindustrializzazione. E in questa città abbandonata e indolenzita fa ritorno la protagonista, Alicja, che in Slesia ha le sue radici e un passato familiare complicato. Alicja arriva a Wałbrzych per indagare su un caso di bambini scomparsi e viene avvolta dall’oscurità, reale e metaforica, della città dove anche i suoi ricordi di infanzia si annebbiano. Quello che ne emerge, è un quadro di alienazione, smarrimento, metafora di una società che ha perso una lingua comune tra le generazioni e gli strati sociali. Con una scrittura capace di evocare a pennellate mondi distanti, Joanna Bator ha creato un romanzo che allarga le maglie del realismo e della verosimiglianza senza tuttavia sconfinare nella letteratura di genere. Piccola postilla: i tratti gotici e le atmosfere degne di Twin Peaks hanno dato a Ciemno, prawie noc una nuova vita quando nel 2018 ne è stato tratto un film omonimo di grande successo.
Księgi Jakubowe – Olga Tokarczuk – Wydawnictwo Literackie 2014 – Presto in Italia
Sarebbe stato impossibile non inserire tra i dieci libri degli anni Dieci almeno un titolo della scrittrice premio Nobel per la letteratura nel 2018. Eppure non è stato facile farlo. La percezione dei lettori occidentali varia un po’ perché i due romanzi oggi di grande hype della Tokarczuk, I vagabondi (Bompiani 2019) e Guida il tuo carro sulle ossa dei morti (Nottetempo 2012) appartengono in realtà alla Tokarczuk degli anni Zero. E se questo può (deve?) accendere più di una lampadina in merito a quanto tempo ci metta l’editoria europea a notare un libro polacco, ci rimane da scegliere un terzo libro iconico di Olga Tokarczuk per raccontare il decennio che l’ha vista insignita del massimo riconoscimento letterario mondiale. Księgi Jakubowe è un libro maestoso nelle dimensioni, sfiora le mille pagine, e dedicato a una pagina di storia polacca molto nota a est di Vienna e assai più snobbato a ovest della stessa: la storia della Confederazione polacco-lituana che lungo il XVI secolo tenne insieme il regno di Polonia e il Granducato di Lituania in un enorme Stato multinazionale, multietnico e pluriconfessionale. Lo stesso sottotitolo del romanzo del resto recita “ovvero un grande viaggio attraverso sette confini, cinque lingue e tre grandi religioni, per non parlare delle piccole”. Difficile dare una trama sintetica di questo romanzo fiume pieno di personaggi e vicende varie, ciò che lo rende interessante è osservare il modo in cui la Tokarczuk porta avanti il filone migrante già inaugurato anni prima da I vagabondi (Bieguni, in originale) riportandolo a una storia polacca di differenze, ben lontana dalla narrazione che se ne fa oggi.
Król – Szczepan Twardoch – Wydawnictwo Literackie 2016 – Presto in Italia
Szczepan Twardoch è l’unico autore con due posizioni in questa lista, non per caso o per piaggeria. Se Morfina è stato un libro di svolta, Król è stato l’accelerazione successiva che ha portato Twardoch e il suo stile al grande pubblico dimostrando la sensibilità dell’autore e la sua capacità di evolversi. Al centro della storia, come per Morfina, c’è la Varsavia degli anni Trenta, ma stavolta diversi anni prima dell’inizio della guerra e lontano dalla borghesia polacca benestante ma nel cuore della comunità ebraica cittadina, fatta di proletari più o meno indigenti o improvvisamente arricchiti. Tra questi ultimi, lui, l’autonominato re di Varsavia Jakub Shapiro, pugile professionista e gangster al soldo di Jan Kaplica, un piccolo ma potente boss della criminalità locale. Shapiro spadroneggia nella Varsavia ebraica, forte della sua possanza fisica e della sua nomea. Picchia, uccide, tortura, senza mai farsi troppe domande. Quello che gli importa è sentirsi sempre al di sopra di tutto, essere il re della sua città. Questo, nonostante Varsavia cambi rapidamente ai suoi occhi, sempre più preda della violenza politica, sempre più avvolta dalla propaganda della falange, i nazionalisti cattolici che strizzano l’occhio a Hitler e provano per gli ebrei un disprezzo sincero. E poi c’è anche Moises Rebstein, ragazzino che Shapiro ha salvato dalla strada dopo aver ucciso suo padre e che è diventato ufficiale in Israele dopo l’emigrazione. O forse no? Come in Morfina, e più che in Morfina, anche in questo ibrido tra grande romanzo esistenziale e thriller storico, Twardoch gioca come un abile burattinaio con le ombre dell’identità.
Sońka – Ignacy Karpowicz – Wydawnictwo Literackie 2017 – Inedito in Italia
Altro esponente di questa fortunata generazione di quarantenni è Ignacy Karpowicz, originario di Białystok, nella Polonia orientale, e probabilmente la penna più elegante del panorama letterario polacco contemporaneo. A confermarlo meglio di qualunque giudizio esterno, il suo penultimo romanzo, pubblicato nel 2017, e già uscito in varie lingue occidentali anche se manca ancora l’italiano: Sońka. Al centro di questo breve romanzo chiuso dentro una copertina azzurro pallido, la storia di un incontro improbabile tra Igor, un regista teatrale varsaviano, nevrastenico e in piena crisi creativa, e Sonia, un’anziana donna di provincia, analfabeta, che da decenni evita quasi del tutto i contatti con il mondo esterno fatti salvi i suoi animali. Un banale guasto al motore in mezzo alla campagna costringe Igor a chiedere aiuto ed è così che incontra Sonia che a quel totale estraneo racconta la sua storia. E in una sorta di diario, la vecchia Sonia racconta della sua gioventù, delle privazioni della vita contadina, della guerra e dell’innamoramento insensato per un ufficiale nazista di stanza vicino al suo villaggio. Nelle parole di Sonia che racconta il suo amore, Karpowicz scrive forse le pagine più belle della letteratura polacca dell’ultimo decennio: la purezza di un sentimento nuovo, raccontato da una donna che ne parla per la prima volta e lo fa senza alcuna forma di educazione sentimentale, ma con una dolcezza atavica. La stessa con la quale Sonia poi racconta il dolore, in quella guerra di cui lei non capisce nulla, la nascita di un figlio e la fine di tutto quello che aveva conosciuto. Così Igor, ascolta fino alla fine, ne raccoglie la vicenda e la racconta in scena ridando pace a Sonia e alla sua storia.
Il caso costellazione – Zygmunt Miłoszewski – W.A.B. 2007, Bompiani 2017
Questo titolo potrebbe fare storcere il naso a qualcuno. Che ci fa un giallo commerciale tra i dieci libri degli anni Dieci? A maggior ragione in una lista che ha fatto fuori, non senza remore, alcuni grandissimi nomi del panorama letterario odierno, la domanda non sarebbe illegittima. Come ho accennato nell’introduzione a questa lista, tuttavia, le dieci posizioni presenti sono state scelte per il modo in cui hanno cambiato la letteratura polacca più che per un valore assoluto. E Il caso costellazione (Uwikłanie in originale) di Zygmunt Miłoszewski, uscito in italiano come Il caso costellazione per Bompiani in una traduzione purtroppo non riuscitissima, ha cambiato la letteratura polacca senza se e senza ma. Negli ultimi dieci anni il giallo polacco, nelle sue varie sfumature, è uscito dai confini di genere e dall’etichetta di libri da spiaggia conquistando quello che già altre culture gli hanno concesso: ovvero una narrazione sociale, politica e culturale all’interno di una cornice narrativa regolata e fruibile ai più. Miłoszewski ha preso un eroe antieroico, il procuratore Szacki, e ha permesso a molti polacchi di immedesimarsi in lui, nella sua stanchezza, nella sua fatica ad affrontare lo stress, nell’incapacità di tenere insieme desideri personali ed esigenze familiari. Mentre sullo sfondo delle sue vicende personali si svolge un caso di cronaca apparentemente banale, ma che spalanca porte e finestre su un passato mai del tutto digerito come quello dei servizi segreti al tempo del socialismo. Il caso costellazione ha poi prodotto altri due volumi di una serie, tutti e tre best-seller, e ha aperto la strada a tanti altri autori che continuano a sviluppare il genere in direzione letteraria. Senza esso, forse non parleremmo di giallo Polonia.
Błoto słodsze niż miód – Małgorzata Rejmer – Czarne 2018 – Inedito in Italia
Małgorzata Rejmer, Margo al di fuori dei confini polacchi, è una delle giovani autrici di maggiore talento nel panorama letterario odierno e una di quelle che gli anni Dieci ci hanno consegnato in seguito a un’evoluzione creativa molto profonda. Margo Rejmer ha esordito nel 2009 con il romanzo Toximia (uscito in italiano per La Parlesia nella traduzione di Francesco Annicchiarico) e poi è migrata alla non fiction con un libro dedicato a Bucarest a metà tra il diario di viaggio e il reportage vero e proprio. Fino ad arrivare a Błoto słodsze niż miód, ovvero Fango più dolce del miele, un denso reportage dedicato all’Albania socialista di Enver Oxha. Il libro, che in Polonia ha conquistato importanti riconoscimenti come il premio Paszport di Polityka ed è stato in finale al Nike, è il ritratto corale di due generazioni di albanesi che hanno conosciuto le privazioni e la paura sotto un regime autoritario e paranoico e che parlano senza alcun filtro da parte dell’autrice. E non è solo questo. Per scrivere questo libro, Margo Rejmer ha vissuto quattro anni in Albania, guardandola da dentro, conoscendone gli abitanti e vincendo la naturale diffidenza di chi avrebbe dovuto confidare a un’estranea e tramite un interprete pagine vivide della propria storia e del proprio dolore. In questo approccio così rigoroso, e quasi ortodosso, alla narrazione della verità c’è un giro di vite attorno al quale tutta la scrittura di reportage in Polonia dovrà rivolgersi d’ora in poi.
Inni ludzie – Dorota Masłowska – Wydawnictwo literackie 2018 – Inedito in Italia
Dall’autrice più temeraria degli ultimi vent’anni non poteva che arrivare un altro romanzo alla dinamite, e così è stato. Dorota Masłowska è forse l’unica vera scrittrice post-moderna in Polonia e Inni ludzie (Persone diverse) porta avanti questo filone con grande coerenza. La storia di questo romanzo/poema hip-hop si svolge nel giro di due giorni dell’inverno del 2017 a Varsavia e racconta l’incontro quasi impossibile di due mondi: quello di Kamil, apprendista idraulico in cerca dell’occasione per registrare il suo disco rap, e quello di Iwona, moglie nevrotica e compulsiva di un riccone della nuova borghesia varsaviana. Intorno a loro, Masłowska ha costruito un flusso travolgente che fa a fette la vacuità di simboli intorno a cui la contemporaneità polacca costruisce sé stessa. Ne escono distrutti tutti i valori apparenti dei protagonisti e di Varsavia stessa, dal patriottismo d’accatto di Kamil che cerca conforto alla sua virilità in un’idea edulcorata della guerra all’ossessione compulsiva di Iwona per le marche dei prodotti che acquista, le sole cose a darle un’identità apparente nella vita patinata che si è costruita come una prigione d’oro. Ne esce distrutta la stessa Varsavia, eldorado immaginato di una Polonia che corre verso la modernità sentendocisi dentro, ma che ne emerge solo avvolta, impacchettata ed etichettata.
Stramer – Mikołaj Łoziński – Wydawnictwo Literackie – 2019 – Inedito in Italia
Classe 1980, varsaviano, al suo terzo romanzo (i lettori italiani potrebbero aver letto il secondo, Libro, edito dai tipi di Atmosphere nel 2015) Mikołaj Łoziński sembra davvero pronto per essere the next big thing della letteratura polacca. Stramer, uscito questo autunno, è stato nominato libro dell’anno dal prestigioso periodico Magazyn Książki e ha ricevuto numerosi riconoscimenti da critici di vario orientamento oltre che dai lettori. Al centro del romanzo, gli Stramer appunto, una famiglia di ebrei di modesta condizione originari della cittadina di Tarnów che vivono nei primi decenni del Novecento. E a qualunque altro autore questo sarebbe bastato. Łoziński invece sceglie di opporsi a uno schema che proietti la storia direttamente alla sua fine. O meglio, non potendolo evitare, lo racconta riempiendolo di storia, concedendo ai suoi personaggi vite complesse, ricche di passioni, errori, ferite e anche momenti divertenti. Se la Storia finirà per portare gli Stramer verso l’inevitabile conclusione nell’Olocausto, Łoziński, con una lingua precisa e appuntita, decide di dare dignità a tutto quello che essi sono stati o hanno desiderato diventare prima che un destino più grande incombesse su di loro. Un romanzo straordinario, commovente e divertente, ma soprattutto pieno di vita, che sovverte un po’ il modo in cui la narrazione mainstream racconta l’ebraismo polacco prima della Shoah.