Kazimierz Deyna, storia di un fantasista della PRL.

Deyna

Uomo timido e calciatore estroso, Kazimierz Deyna è il volto perfetto del calcio polacco degli anni ’70.

di Salvatore Greco

Varsavia, 18 settembre 1979, allo Stadion Wojska Polskiego, lo stadio del Legia Warszawa, c’è un’atmosfera di festa, mista a malinconia. Fa piuttosto freddo per essere settembre, la gente assiepata sugli spalti indossa giacche e impermeabili, come anche i giornalisti, e i calciatori si preparano per il riscaldamento stretti nelle loro tute. Il pubblico delle grande occasioni è lì per l’amichevole tra il Legia e gli inglesi del Manchester City, e per un popolo affamato di oltrecortina basterebbe già questo, ma i tifosi varsaviani in tribuna quel giorno non sono interessati ad ammirare i nerboruti esponenti del mondo libero, quanto a omaggiare uno dei loro.

Il calciatore simbolo della storia recente del Legia, capitano e numero 10 di quella squadra, da poco più di un anno, è un tesserato proprio del Manchester City e quella partita –che giocherà un tempo per parte- è il suo saluto al club che l’ha reso grande. Quel calciatore, il re del calcio polacco come recita uno striscione in curva, è un ragazzo dalla faccia tranquilla, i capelli e le basette à la George Best, un documento in tasca che dice che è nato a Starogard Gdański il 23 ottobre del 1947. Quel calciatore è Kazimierz Deyna.

In che modo il figlio di un operaio di una cooperativa del latte sia diventato simbolo sportivo del suo Paese è una storia da mitopoiesi del calcio mondiale. E anche se Deyna è nato nella sperduta provincia della Pomerania, e non nei sobborghi di Liverpool o tra i barrios malfamati di Rosario, le sue vicende non si distanziano molto –nelle origini- da quelle di campioni europei o sudamericani emersi e salvati dal nulla o da una vita modesta.

Se non fosse diventato calciatore, Deyna avrebbe fatto l’elettricista, quelli erano stati i suoi studi mentre iniziava a dare calci a un pallone. Quali fossero le sue doti nella saldatura di cavi non è facile da dire, di certo sul campo da calcio sapeva darsi da fare e se ne accorsero i suoi primi preparatori che videro un Deyna undicenne spiccare per talento e velocità nella squadra under-15 del club della sua città, il non più attivo ZKS Włókniarz Starogard Gdański. Quel ragazzino agile e veloce riusciva a prevalere, con guizzi e scatti, anche su compagni e avversari che lo sovrastavano per stazza ed età.

I segnali parlano chiaro e infatti nel 1965, all’alba dei suoi diciotto anni, Deyna esordisce con la nazionale giovanile (oggi diremmo under-21), un solo tempo contro la Cecoslovacchia che però gli vale attenzioni da club quotati. Si interessano a lui il Lechia Gdańsk e l’Arka Gdynia, i genitori –probabilmente presi da frenesia- firmano a suo nome un contratto con l’Arka mentre Deyna è ancora un tesserato del Włokniarz. È una violazione piuttosto grave del regolamento federale e gli vale una squalifica che gli impedisce di firmare per un qualsiasi club per quasi un anno.

Nel gennaio del ’66, un po’ per voglia e un po’ per inerzia, si trasferisce a Łódź, dove vive uno dei suoi otto fratelli –Henryk- assieme alla moglie. In questo periodo in cui fa il terzo incomodo di una vita coniugale e socialista, si allena con la squadra riserve dello ŁKS di Łódź con la quale gioca anche una partita, nel campionato di terza categoria, contro il Włokniarz di Białystok. La partita finisce 7-2 per lo ŁKS e Deyna segna cinque reti, abbastanza per convincere il coach a provarlo con la squadra titolare. L’8 ottobre del 1966, a 19 anni, Kazimierz Deyna debutta nel massimo campionato polacco con la maglia dello ŁKS, in una partita insipida contro il Górnik Zabrze che termina 0-0. E termina anche, dopo solo una gara, la carriera di Deyna a Łódź. Dopo quel primo match disputato, il giovane Kazimierz viene chiamato alla leva militare e così diventa anche un tesserato del club dell’Esercito Popolare Polacco, il Legia Varsavia.

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La storia d’amore tra Deyna e il Legia sarebbe durata dodici anni, anni durante i quali Deyna sarebbe diventato capitano di quella squadra spesso ai vertici del campionato nazionale, e una volta semifinalista in Coppa dei Campioni, nella indimenticata stagione 1969/70. Anni di successi e di un carisma mite maturato pian piano che lo avrebbero portato a prendersi anche le redini della reprezentacja, la nazionale polacca, che anche grazie a lui conquistò un oro (Monaco ‘72) e un argento (Montreal ’76) ai Giochi Olimpici oltre allo storico terzo posto ai mondiali di Germania del 1974.

In quegli anni Deyna trova il suo posto ideale in campo, diventa un fantasista, anche se non lo sa ancora nessuno. Il fantasista è un’invenzione degli anni ’90, rapidamente estinta, quel ruolo sul campo che è la composizione etilica tra la mezzala e la punta, la residenza forzosa ma naturale in quella terra indistinta chiamata trequarti, il raccordo tra i reparti che solo a menti estrose poteva riuscire. Non è un caso che il numero per eccellenza dei fantasisti di ogni tempo –da Rivera a Baggio a Totti a Del Piero restando nel vocabolario evocativo del calcio nostrano- fosse proprio il 10 che anche Deyna portò sulle spalle. Detta in termini più affini al calcio degli anni Settanta e a quei capelli lunghi da beatle impenitente, Deyna è un centrocampista offensivo con una certa vocazione al goal. A differenza dei grandi centravanti della sua generazione, a partire da Grzegorz Lato, Deyna offriva al campo e agli avversari un fisico asciutto e longilineo, apparentemente poco adatto a farsi valere fra i difensori rocciosi di allora, ma letale nelle incursioni, nei lanci, nella velocità di dribbling e nelle finte. Con queste doti, più da funambolo balcanico o sudamericano che da figlio del calcio mitteleuropeo, il goal gli veniva naturale, un gesto semplice e concreto, da compiersi con una ripetitività propria solo dei gesti normali, routinari.

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7 reti nella sua prima stagione al Legia, 10 nella seconda, 19 nella terza, quella della vittoria del campionato 1968/69. E proprio nel ‘69 arrivano anche i primi centri con la nazionale: una doppietta nella rotonda vittoria per 8-1 della Polonia sulla carneade Lussemburgo per le qualificazioni ai Mondiali di Messico ‘70.

Nel 1972, ai Giochi olimpici di Monaco, è un Deyna ormai 25enne a portare la Polonia a conquistare l’oro olimpico nel calcio, ad oggi il massimo trofeo internazionale mai conquistato dalla nazionale polacca. Durante la competizione segna 9 goal in 7 partite, di cui i due pesantissimi che decidono la finale per l’oro contro l’Ungheria. Il ritorno in patria dopo l’impresa lo riempie di gratificazioni, ma Deyna continua a mostrare un temperamento mite, come si conviene d’altronde  a un ufficiale dell’Esercito popolare polacco.

Nel 1974 è tempo di tornare oltrecortina per i mondiali che si tengono in Germania Ovest. La cosa non è banale per Deyna che, da membro dell’esercito in piena guerra fredda, ha il divieto formale di mettere piede in un paese membro della Nato. Tuttavia l’eccezione, per il bene del calcio polacco, si trova.

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Quell’anno la Polonia è sicuramente in stato di grazia, la vittoria contro il Brasile nella finale di consolazione non è solo una partita vinta ai danni della squadra di calcio per eccellenza, ma anche il terzo posto ai campionati del mondo, risultato eguagliato a Spagna’82 e mai superato. Quel mondiale è fondamentalmente il trionfo dell’estro da bomber di Lato, ma anche Deyna sa prendersi le sue soddisfazioni, ad esempio con il goal che, nella partita del girone eliminatorio contro l’Italia, vale il 2-1 alla Polonia e l’eliminazione precoce per gli azzurri.

Rivedere quel goal, oggi dice tanto, anche se non tutto, del gioco del calcio secondo Deyna. Un lancio apparentemente innocuo dalla sinistra raggiunge l’esterno destro Henryk Kasperczak che si allunga il pallone timidamente, cerca lo spazio per un cross o un cambio di gioco, poi vede Deyna avvicinarsi al limite dell’area, silente e veloce come un furetto, lo serve preciso, e Deyna -marcato con un secondo di ritardo- lancia un destro che è una stoccata di biliardo e infila Zoff sul primo palo.

Furbizia, lettura degli spazi e visione di gioco sono gli elementi che permettono al capitano di quella reprezentacja di segnare un goal al portiere più forte in circolazione, l’esultanza con i compagni poi è quasi modesta, altra faccia di quel talento cortese e pacato che l’aveva reso grande.

La carriera in nazionale per Deyna continuerà anche alle successive olimpiadi, quelle di Montreal 1976, dove al capitano tocca “solo” una rete e alla Polonia “solo” l’argento, dopo la finale persa nell’amaro trionfo del socialismo reale contro i tedeschi dell’est. Nel frattempo, anche con il Legia, Deyna è sempre più leader, amato dai tifosi e guardato di buon occhio dalle grandi squadre europee. Pare che già dopo il mondiale del 1974 a lui si fossero interessati club del calibro di Milan, Real Madrid e Bayern Monaco, ma ancora una volta le restrizioni a cui era destinato come ufficiale dell’Esercito popolare gli impediscono di lasciare il Paese. È solo nel 1978 che, dopo mesi di trattative estenuanti, arriva il benestare delle autorità socialiste e il Legia accetta l’offerta del Manchester City per il suo giocatore simbolo. Per privarsi di Deyna il club varsaviano pretende 150.000 sterline, attrezzatura Adidas per tutta la squadra e l’organizzazione di due amichevoli tra i due club. La prima di queste è proprio quella del 18 settembre ’79 in cui i tifosi del Legia salutano il loro ex capitano, tristi per aver perso l’autore di 141 reti in 389 gare ufficiali, e forse un po’ invidiosi per quell’emigrazione a ovest, per molti di loro impensabile.

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Il detto che non tutto è oro ciò che luccica, tuttavia, Deyna lo impara molto presto. L’approdo nel calcio inglese non è semplice e già alla terza stagione con la maglia del City vede il campo solo in tre occasioni, rapidamente messo fuori squadra nella stagione 1980/81. Ha già da tempo salutato anche la nazionale, con la quale l’ultimo goal è arrivato nella vittoria per 3-1 contro il Messico durante il mondiale argentino del 1978.

DeynaLa fine della carriera inglese di Deyna lo porta negli Stati Uniti, allora anche più di oggi, pensione dorata per calciatori rassegnati alla mediocrità. Dalla soleggiata San Diego partecipa al campionato della North American Soccer League per quattro stagioni fino al 1984 mentre nel frattempo fonda i The Legends, una squadra che –sulla falsariga dei GlobeTrotter della pallacanestro- organizza esibizioni allo scopo di fare sviluppare il calcio negli Stati Uniti. Sempre a San Diego, passa all’indoor dove ormai trentenne può far valere la sua tecnica senza lo sforzo fisico del calcio a 11 e diventa un calciatore piuttosto noto negli States come dimostra il suo coinvolgimento come attore nel celebre film a tema calcistico Fuga per la vittoria. Voci difficili da confermare parlano inoltre di un suo possibile coinvolgimento nello staff tecnico della nazionale a stelle e strisce in vista dei mondiali del 1994 che gli USA avrebbero disputato da padroni di casa.

Quei mondiali però, tanto quanto quelli precedenti, Deyna non arriva a vederli. La notte del primo settembre 1989 mentre guida la sua Mitsubishi Colt sull’autostrada fuori San Diego colpisce in piena velocità un furgoncino parcheggiato in corsia d’emergenza e muore sul colpo.

Nonostante manchi dalla Polonia da dieci anni e nonostante il Paese quell’autunno abbia ben altro a cui pensare, la scomparsa di Deyna suscita commozione profonda e diventa un piccolo movimento popolare. I suoi resti, prima custoditi in California, nel 2012 sono stati portati in Polonia e oggi Deyna ha la sua tomba da ufficiale nel cimitero militare di Powązki, a Varsavia.

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Che sia diventato un mito consolidato dalla storia e nella storia lo dimostrano cose come il fatto che il Legia abbia da tempo ritirato la maglia numero 10, che all’ingresso dello stadio su Ulica Łazienkowska ci sia una statua in bronzo che lo raffigura nell’atto di calciare, o il film Być jak Kazimierz Deyna uscito nel 2012. Oggi a quasi trent’anni dalla sua scomparsa, gli appassionati polacchi di calcio evocano sul campo più la concretezza di Lato o i successi internazionali di Boniek e si esaltano per i gesti tecnici e la possanza atletica di Milik o Lewandowski eppure non sembra una cosa da poco che anche in un calcio più fisico e con un tifo feroce e incattivito, in molti ricordino con affetto i guizzi di Deyna e il suo volto tranquillo, il volto di un fantasista timido, di un fantasista della PRL.

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