Decapitated – Anticult

Decapitated

Viaggio con i Decapitated nell’ultima generazione del metal polacco, tra rabbia, ribellione e ricerca di un senso comune.

di Francesco Cabras

La scena heavy metal in Polonia è particolarmente agguerrita e si mantiene sulla cresta dell’onda da parecchi decenni. Capostipiti indiscussi furono i Turbo, fondati nel 1980 e che con il primo album, Dorosłe dzieci, uscito nel 1982, cantarono il disagio di una generazione a cui il potere aveva “insegnato regole e date, inculcato [sic!] la saggezza, ripetuto ciò che si poteva e non si poteva fare; l’aveva convinta di ciò che è bene e ciò che è male” eppure, quella generazione viveva con la disarmante sensazione di “non sapere come vivere”, cioè di non sapere cosa farne della propria esistenza.

I Kat nacquero un anno prima dei Turbo (1979) e, sebbene a livello di testi questi indulgano ad un ermetismo che spesso lascia l’impressione di trovarsi di fronte a parolieri convinti che per scrivere qualcosa di poetico basti allineare frasi ad effetto senza preoccuparsi troppo del loro senso (si veda, pars pro toto, il testo di Łza dla cieniów minionych, “Getto collane di ricordi in fondo al sarcofago della notte  / [e tu sei] sprofondata in un soprabito di cappelli, profumi del profumo della tua vagina / ricoperta dal sonno…ecc. ecc. ”), il gruppo in questione è musicalmente importante e merita di essere ricordato insieme ai Turbo quando parliamo di heavy metal in Polonia. Tematiche sociali sono state affrontate recentemente anche dagli Hunter (il nome della formazione è ispirato a una canzone dei Def Leppard, Die Hard the Hunter), nell’album Medeis, mentre i loro inizi sono caratterizzati da un thrash fortemente debitore ai primi Metallica (si ascolti l’album di debutto, Requiem, del 1995).

Le ‘nuove leve’ invece, forse più note al pubblico internazionale, si chiamano Vader, Behemoth, Mgła. In particolare i Behemoth hanno conquistato la ribalta anche tra i non addetti ai lavori, spinti da un leader, Nergal, che ultimamente è divenuto furbescamente molto ‘social’, anche grazie a una liason con la cantante pop Doda che gli ha permesso, di fatto, di uscire dalla nicchia del black metal per divenire personaggio ‘pubblico’ nel senso pieno del termine. Sia come sia, quanto appena detto nulla toglie alla validità della proposta artistica del gruppo, la cui spinta propulsiva all’innovazione del genere si è potuta apprezzare nella produzione che va dal decennio degli anni ’90 sino alla prima metà del decennio 2000-2010. Attaccati pesantemente dall’opinione di un Paese (si sa) profondamente cattolico per i loro testi che indulgono a tematiche sataniche e violentemente anticristiane (a Nergal, ammalatosi di leucemia, è stata augurata da certi ambienti cattolici la morte, dal loro punto di vista la giusta punizione per la musica da lui composta). Il frontman del gruppo, a proposito delle polemiche suscitate dai testi dei Behemoth e in risposta a chi lo accusava di avere poco coraggio a prendersela con il cristianesimo e che avrebbe invece, per coerenza, prendersela anche con l’Islam che, a detta di chi lo accusava sarebbe ben più intollerante e oppressivo del cristianesimo, ha dichiarato che i suoi testi sono in primo luogo anticristiani perché è nato e cresciuto in un paese fortemente cattolico e che a questo si è voluto ribellare. Diversa sarebbe stata la questione se ­– per assurdo – fosse nato e cresciuto in un paese musulmano, ha affermato sempre Nergal: allora sì, avrebbe avuto senso contestare l’Islam.

Mi sono dilungato a parlare di Nergal, il personaggio più mediaticamente esposto della scena metal polacca, perché l’ultimo lavoro dei Decapitated, Anticult, s’inserisce per l’ennesima volta nel filone della critica non tanto al cattolicesimo in quanto tale, sì a un più generale sentimento religioso, nei confronti del quale il gruppo si scaglia in maniera estremamente violenta. Sarà bene lasciare la parola direttamente al frontman, Rafał Piotrkowski, autore di tutti i testi, che in Kill the cult canta (ma sarebbe meglio dire ‘urla’, visto l’impiego del growling):

The plague of our era, parasites batten on us

Chosen to spread delusion, monkeys of a self-men god.

The cult of puppets, idols forged in the artful hands.

Hands which pull the strings – the strings attached to weak brain!

[…]

Kill this cult! Cult of lies.

I burn your symbols and spit in your faith,

Take all this shit and go back to your hell!

 

E ancora, nella successiva One eyed nation:

There is no power coming from gods.

There is no providence for the chosen ones!

There is no servant created to serve!

Flesh equals flesh like man equals man.

The greedy ego tips the fate’s scales!

Tutte le otto tracce del disco girano intorno a questo nucleo tematico e anche quando il ‘culto’ del titolo non è direttamente chiamato in causa, ci troviamo dinanzi a un grido di rabbia, dolore e frustrazione nei confronti di una società che esclude chi la accusa, il quale a sua volta pare completamente incapace di farne parte (Anger Line):

Since I remember, every eye’s burnt with wrath
Since I remember, every hand’s been stained with crime
Since I remember, every word’s dripped with lies
Since I remember, every step’s been a risk
We’ve been the hate’s alchemists
The great violent search for shimmering release
Death, fear and anger are the perfect recipe!

I’ve fallen and crawled through the ages in nowhere land
Blind, suffocated by submissive life
Prolonged lethargy grows like a claw
Then breeds anger, cuts the bonds
The human swarm full of spikes, sting without mercy every time.

Al di là di tutto, ciò che (almeno personalmente) trovo interessante, è l’interrogarsi sulle ragioni profonde che spingono una parte dei giovani di una società a contestare in forme simili la società in cui vivono, non solo in Polonia. Si pensi ad esempio alla straordinaria fioritura di gruppi metal in Scandinavia: se l’opulenta e tranquilla Norvegia  ha dovuto fare i conti con l’onda black metal, della quale alcuni rappresentanti si sono abbandonati a episodi criminali (penso agli omicidi e agli incendi delle chiese per mano dell’Inner Circle), la Svezia ha visto nascere e crescere il cosiddetto melodic death metal, caratterizzato, rispetto al black norvegese, da un approccio meno brutale dal punto di vista musicale e più introspettivo dal punto di vista dei testi. Gli In Flames dei tempi d’oro, lontani parenti di quello che sono divenuti oggi, cantavano il proprio disagio, alla fine del millennio, con queste parole:

Egoism dictates human relations
A world where fashion outshines morality
Here success is written in blood-red colors
Designed by the thirst for power

Gather the faithful and propose a toast
To the epoch of indifference

An all to ordinary story
With aftertaste so bitter
Forced to be someone I don´t want to be
I´m losing myself, sinking deeper down
I´m caught in the world wound web

mentre un altro gruppo svedese, gli At The Gates, è tornato recentemente sulle scene (At War With reality, 2014) con un disco che, pur non potendo essere definito un concept album, è ispirato al romanzo dell’argentino Ernesto Sabato, Sopra eroi e tombe ed è caratterizzato da un filo rosso tematico, ovvero la constatazione nichilistica che nessuna fede religiosa possa, nel mondo di oggi, alleviare le sofferenze dell’umana esistenza.

Tornando ai Decapitated, musicalmente il gruppo originario di Krosno (Hubert Wiecek, Rafał Piotrkowski, Michał Łysejko [che ora ha lasciato la band, sostituito momentaneamente da James Stewart dei Vader] e Wacław Vogg Kiełtyka) ci propone un death metal feroce, rapido e ben suonato, che fa ottima prova di sé dal vivo, come ho potuto verificare di persona durante il live del 31 marzo al club Zet Pe Te di Cracovia. Va detto però che le innovative idee musicali che avevano esaltato i fans del genere nel lontano 2000 con Winds of Creation, Nihility (2004) e poi ancora Organic Allucinosis (2006) sono ormai un ricordo. Wacław Kiełtyka, unico membro rimasto della formazione originaria ‘ci riprova’ (come mi è capitato di leggere in un’ altra recensione) dopo la morte del fratello Witold (a seguito di un incidente stradale in Bielorussia, durante il tour di Organic Allucinosis) e l’abbandono degli altri membri del gruppo, passando addirittura per un periodo in gattabuia negli Stati Uniti per un’accusa di stupro poi ritrattata dalla stessa (supposta) vittima. Il risultato è un buon album, bello e godibile da chi ama il genere, ma l’impressione è che la tecnica, a volte, copra forse la mancanza di idee (nuove).

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