Breve e soggettiva storia della cold wave in Polonia.
di Barbara Minczewa
Come già sappiamo grazie all’introduzione di Francesco Cabras qui su PoloniCult, la cortina di ferro non fu poi così tanto impermeabile da poter ostacolare la diffusione della musica occidentale in Polonia. Il rock giunse presto e trovò terreno fertile, inserendosi in un contesto politico che, a sua volta, si fece da causa efficiens, nonché da contesto principale della ribellione espressa nei testi e nelle composizioni. Quello fra rock e politica è un binomio che accompagnò la storia della Polonia nei suoi anni più difficili; e se per la politica gli anni Ottanta sono stati il decennio più tormentato, iniziato dalle proteste di Solidarność e finito con le elezioni libere ma segnato anche da esperienze traumatiche come l’introduzione della legge marziale e gli anni di stagnazione, per la musica gli stessi anni rappresentarono il periodo d’oro. Proprio da quella “generazione perduta” sono nate leggende della musica polacca e molti gruppi attivi fino ad oggi.
Certamente, il caleidoscopio di tendenze e stili musicali che attraversò gli anni Ottanta fu molto simile a quello che succedeva a ovest del Muro di Berlino; alcuni stili attecchivano in Polonia più tardi, ma credo si possa attribuire questi ritardi non tanto alla censura o alla scarsezza di informazione che arrivava ai giovani, bensì agli umori dell’epoca. “Every generation needs a new revolution” recita la frase attribuita a Thomas Jefferson, dunque se il disagio e l’onda rivoluzionaria iniziata ancor prima dei moti di Solidarność venivano ben espressi dalla sintesi rozza (anche se oltremodo affascinante) del punk, gli umori cupi, sollevati dalla dura realtà della legge marziale, avevano bisogno di un altro approccio. Un approccio stilistico cosciente, doloroso, distaccato e freddo come il nome con il quale veniva più spesso chiamata la new wave in Polonia: cold wave, in polacco “zimna fala”. Dopo il terremoto di riassestamento generato dal punk, giunse il momento di una semplificazione sintetica, di suoni ricercati e “freddi” e di testi che esprimessero lo stato d’animo di quella generazione che non credeva più nel futuro. Certamente, come accadeva anche nella new wave occidentale, il contesto naturale di questo genere musicale non furono i paesaggi bucolici della campagna, bensì quelli urbani e, in particolar modo, il panorama industriale delle fabbriche.
Il post-punk, la new o cold wave, oppure – come preferivano alcuni in Polonia – il “rock funerario”: qualunque sia il termine usato, è stato un fenomeno culturale vasto, estremamente sfaccettato e ricco di spunti che hanno poi traghettato la storia del rock. Anche se per molti versi i gruppi polacchi sono riusciti a creare un sound unico, l’ispirazione britannica non manca: i Joy Division, i Siouxsie and the Banshees o i Killing Joke risuonano come eco nei riff dei numerosi gruppi polacchi: Madame, 1984, Aya RL, Joanna Makabresku, Opera, Aurora, Made in Poland, One Million Bulgarians, Veriéte, Siekiera, e tanti, tanti altri.
La cold wave fu il genere più rappresentato durante il celebre Festival di Jarocin nella metà degli anni Ottanta. Guardando un documentario intitolato Fala – Jarocin ’85 (Onda – Jarocin ’85), colpiscono le testimonianze dei giovani partecipanti, intervistati durante il festival, che oltre ad affermare di non credere in un qualsiasi futuro, dicono: “Se la realtà che ci circonda è terrificante, allora anche l’arte deve essere terrificante”. Sarà banale, ma forse è la migliore sintesi del fenomeno.
Nel 1985, le star del palcoscenico principale di Jarocin furono per esempio Madame e Republika. I primi, nati a Varsavia dalle idee di musicisti famosi come Robert Gawliński e Jacek Perkowski, presentarono un repertorio che ancora oggi ha un sound à la page:
Il concerto dei Republika, gruppo guidato da Grzegorz Ciechowski, fu invece una delle più famose esibizioni dell’intera storia del Festival di Jarocin. Accolti con pomodori e altri beni alimentari lanciati dal pubblico in segno di disapprovazione della presunta “vendita” della band al successo commerciale, i Republika continuarono a suonare impassibili, riscuotendo alla fine del concerto un successo incommensurabile. Tra le altre, in particolare viene ricordata la straordinaria canzone “Moja krew” (Il mio sangue) che, per molti, rimane il testo più forte e attuale dei Republika:
Siamo dunque nella metà degli anni Ottanta; infatti, se dovessimo definire una cronologia, possiamo inquadrare il “rock funerario” in un periodo che va, all’incirca, dal 1984 (cioè quando in Occidente emetteva gli ultimi respiri) al 1989, fermo restando che si tratta una cronologia indicativa e inesatta, poiché lo spirito cold wave aleggerà anche negli anni successivi influenzando una miriade di nuovi stili. Purtroppo, la maggior parte dei gruppi rappresentanti del genere non sono sopravvissuti fino alla decade successiva. Come la cold wave era nata dalle ceneri del punk, dalla cold wave si svilupperanno altre tendenze. Alla fine degli anni Ottanta nacquero ancora alcuni nuovi gruppi, oramai non appesantiti dalla memoria del punk e di Jarocin. Nel 1988, per esempio, a Varsavia venne costituita Closterkeller, band che oggi viene considerata la maggiore rappresentante del rock gotico in Polonia, e che prima di sviluppare il suo stile unico, traeva forti ispirazioni dal suono dei Siouxsie and the Bashees o degli Xmal Deutschland:
Negli anni Novanta, alcuni gruppi cold wave si sono evoluti, dando un tocco elettronico alla propria creazione (Fading Colours, ex Bruno Wątpliwy):
oppure raggiungendo sponde inaspettate nella ricerca di ispirazione, come testimonia il caso dei Variéte che producono un rock con influenze jazz. Non si sono però formati molti gruppi nuovi, e la maggior parte di quelli vecchi si era sciolta. Dal 1994 il Festival Castle Party riunisce gli amanti dei suoni oscuri, dando spazio al gothic rock, gothic metal, dark wave, industrial, EBM e generi affini, ma la cold wave sembrava definitivamente giunta alla fine della sua popolarità.
All’inizio del XXI secolo però qualcosa è cambiato: la cold wave ha cominciato ad avere nuova linfa. Vista la storia e il contesto in cui si erano uditi i primi vagiti della cold wave in Polonia, forse il revival che sta avendo questo genere musicale dovrebbe preoccupare, essendo indice di disagio sociale e di un certo pessimismo verso il futuro, ma di certo rincuora chi vede proprio la cold wave come il periodo migliore per il rock polacco.
Qualsiasi sia il motivo del nuovo arrivo della “onda fredda”, assistiamo a una sua vera rinascita: si formano nuovi gruppi, come i Wieże Fabryk di Łódź
o come gli Eva (poi trasformato in Hatestory) a Varsavia
Si riattivano i Joanna Makabresku, i Made in Poland, i Kosmetyki Mrs. Pinki. I 1984, lo storico gruppo di Rzeszów, non hanno mai sospeso la propria attività, e nel 2015 sono previsti nella line-up del festival Castle Party.
Ogni tanto, girano voci sulle intenzioni di Tomasz Adamski, ex-leader dei Siekiera, di riunire il gruppo nella formazione del 1986, anno in cui uscì l’album Nowa Aleksandria (1986).
In conclusione, proprio su Siekiera mi vorrei soffermare un attimo, poiché sono stati la principale fonte di ispirazione per scrivere questo articolo. Come è stato già detto, il rock in Polonia ha subito diverse influenze, inserendosi in un ampio contesto della musica mondiale. Raramente si parla del fenomeno contrario, cioè della popolarità dei gruppi polacchi all’estero. Certo, direte voi, c’è poco da raccontare. Ebbene, sì, ma quel poco che c’è da raccontare è sorprendente. Oggi i polacchi tendono a sottovalutare la musica del proprio Paese, ignorando alcuni fenomeni straordinari che hanno varcato i confini della Polonia. Non parlo qui (sperando che ci sarà ancora occasione di approfondire) del principale materiale da esporto del mercato musicale polacco, il metal, e dei due gruppi polacchi più venduti al mondo: i Behemoth e i Vader (quest’ultimi, tra l’altro, sono anche l’unico gruppo polacco ad aver inciso un album “Live in Japan”, come i maggiori esponenti del rock mondiale). Io stessa fui colta di sorpresa qualche anno fa, quando durante una conversazione con una coppia di italiani, i miei interlocutori mi dissero, dopo aver scoperto da dove vengo: “Ah, ma uno dei nostri gruppi preferiti è polacco!”. Li guardai con sospetto; non portavano segni evidenti che potessero classificarli come amanti del death metal, quindi, spinta da un’imperdonabile stereotipizzazione, scartai l’opzione più ovvia. E mentre i miei nuovi amici cercavano di pronunciare il nome di uno dei MIEI gruppi polacchi preferiti, non ci potevo credere: parlano davvero dei Siekiera? Con un certo timore chiesi: “Cioè… Siekiera? Nowa Aleksandria?” E per contestualizzare meglio canticchiai: “Nasze domy pośród nocy, nasze domy obok fabryk, ooooooooooh…?”. Seguì un’esplosione di entusiasmo da parte dei miei interlocutori che mi stupì non solo per il mio dubbio talento vocale, ma soprattutto perché non avevo idea che Siekiera, la cosiddetta “seconda Siekiera” (il gruppo ha inciso due album, di cui il primo era un punk rozzo e demenziale, e il secondo, Nowa Aleksandria appunto, grazie allo spirito innovativo di Tomasz Adamski, viene considerato uno degli album più importanti per la storia della cold wave e del rock polacco in generale), avesse avuto un discreto successo tra gli amanti del genere anche fuori dalla Polonia.
Con la sua caratteristica chitarra a tre corde (tolte le corde acute per un suono più cupo), Adamski ci trasporta in atmosfere inquietanti e in paesaggi disumanizzati. Nella canzone “Nowa Aleksandria” troviamo chiari omaggi ai maestri indiscussi del genere, i Killing Joke (basta comparare il ritornello dei Siekiera con quello di “The Wait” dei Killing Joke), ma ciò non toglie originalità all’album del gruppo polacco. Un’album, forse troppo audace e incomprensibile per i tempi in cui fu inciso, poiché non venne accolto dal pubblico con molto entusiasmo. Oggi Nowa Aleksandria ha lo status di un vero “cult album”, e lo testimoniano non solo le nuove riedizioni, ma anche la straordinaria quantità di citazioni e cover fatte da gruppi provenienti da tutto il mondo. Dopo aver appurato che la coppia davanti alla quale mi lanciai in quella penosa performance vocale parlava veramente dei Siekiera, feci una ricerca che mi portò a scoprire che la canzone “Nowa Aleksandria” è stata interpretata da molti gruppi (in polacco!) e qui segnalo solo due cover: la versione dei francesi Varsovie e quella dei brasiliani di Escarlatina Obsessiva. Anche i succitati Behemoth, del resto, hanno fatto una cover di Siekiera, trasformando il brano “Ludzie Wschodu” (“Gente dell’Est”) seguendo il loro stile unico:
Per chi volesse approfondire il tema, YouTube offre molte possibilità: dalle compilation ai singoli artisti. Per i veri collezionisti e per i veri feticisti della musica, negli ultimi anni sono state preparate diverse nuove edizioni, con tanto di bootleg introvabili, come il cofanetto deluxe di “Nowa Aleksandria”.
Insomma, esistono vari modi per immergersi nell’anima melanconica dell’onda fredda polacca.