Karel Čapek, di robot e salamandre

Čapek
 
di Lorenzo Berardi

Cominciamo da un piccolo excursus geografico, prima di spingerci assieme verso Est. Era l’ottobre del 2013 e mi trovavo nel paesino di Hay-on-Wye, al confine fra Galles e Inghilterra. Un luogo immerso in un paesaggio da cartolina, fra pascoli, dolci colline e gorgoglianti ruscelli. Ma soprattutto un borgo dedicato ai libri in ogni loro genere e forma. È in questo paesino sulle rive del fiume Wye che il primo aprile 1977, il bibliofilo e libraio del luogo Richard Booth si autoproclamò sovrano del ‘Regno di Hay’.

Una boutade che ebbe il merito di dare il la al fenomeno che ancora oggi contraddistingue questo borgo di appena milleseicento abitanti: quello delle librerie. Negli anni successivi, infatti, Hay-on-Wye cominciò ad attrarre librai e appassionati lettori dal Regno Unito e oltre, divenendo una vera e propria ‘booktown’. Una cittadina del libro che, nel suo periodo d’oro, contava non meno di 35 librerie, perlopiù antiquarie e di seconda mano: una ogni venti abitanti. Con il tempo, alcune librerie di Hay si sono specializzate in generi ben precisi: dalla poesia al paranormale, passando per la saggistica, le vecchie edizioni Penguin dal dorso arancione, la narrativa straniera in lingua originale, gli albi illustrati per l’infanzia e così via.

Nei giorni della mia visita, il numero di bookshop era sceso a ventiquattro e si intravedeva qualche segno di declino. Un’ex libreria era stata convertita in ristorante, un’altra in negozio di abbigliamento vintage e una terza appariva sfitta da mesi, l’insegna penzolante nel vento gallese. Nella main street del paese, uno striscione fra il serio e il faceto ammoniva: ‘vietato l’accesso ai possessori di Kindle’. Un’ostilità verso Amazon e le nuove tecnologie smentita però dal fatto che molte delle librerie di Hay permettessero già allora di ordinare online, talvolta persino tramite la creatura del nemico pubblico numero uno: Jeff Bezos.

Nonostante il bel tempo di un tiepido – per standard britannici – weekend di inizio autunno, un solo visitatore si aggirava fra i chilometri di scaffali ricolmi di tesori dell’Hay Cinema Bookshop (un’ex sala cinematografica convertita in libreria dell’usato). E qualche stradina più in là, i pochi clienti dello storico Richard Booth Bookshop, là dove tutto era cominciato quasi trent’anni prima, parevano più interessati alle torte al limone artigianali del café interno che a scovare gemme fuori catalogo nei tre piani della libreria.

Robot sul palco e detective stories tascabili

Čapek

Ed è proprio percorrendo e ripercorrendo palmo a palmo i titoli presenti al primo piano del Richard Booth Bookshop che mi sono imbattuto in una raccolta di racconti di un autore a me allora noto da poco, ma già molto apprezzato: Karel Čapek. Noto a molti per avere inventato il termine ‘robot’ nell’accezione che oggi conosciamo di automa semovente dotato di intelligenza artificiale (nel dramma teatrale ‘R.U.R.‘, edito da Marsilio e tradotto da Alessandro Catalano), Čapek è stato un autore dalla fantasia sconfinata. E, al tempo stesso, un creatore di storie capace di applicare le ali della fantascienza e dei generi più disparati a trame sempre ancorate alla contemporaneità. Proprio questo aspetto permette oggi ai libri dello scrittore ceco di essere ancora importanti.

Nato nel 1890 e scomparso nel 1938 nell’allora Cecoslovacchia, Karel Čapek è stato un autore prolifico e poliedrico proveniente dall’Europa centro-orientale, attivo fra le due guerre mondiali e capace di cimentarsi con qualsiasi genere. Caratteristiche che, assieme alla prematura dipartita, lo accomunano all’ungherese Antal Szerb, del quale abbiamo scritto in passato.

Autore di racconti per bambini, opere teatrali, libri di fantascienza, saggi, feuilleton, diari di viaggio (in Italia), oltre che di una biografia del primo presidente cecoslovacco, Masaryk. Una carriera letteraria cominciata a quattro mani scrivendo un semiserio manuale di giardinaggio (‘L’anno del giardiniere’ edito da Sellerio e tradotto da Daniela Galdo) in collaborazione con il fratello Josef, illustratore, e proseguita in solitaria.

Il libro che ho acquistato ad Hay-on-Wye si intitola ‘Tales from Two Pockets‘ (Povídky z jedné kapsy; Povídky z druhé kapsy) ed è un’elegante edizione in brossura dalla copertina azzurra. Pubblicato nel 1962 dalla Folio Society di Londra, tradotto da Paul Selver e illustrato da Karel Svolinsky, l’opera si compone di 47 storie brevi. Racconti spiazzanti, talvolta ironici, spesso destrutturati al punto tale da sembrare esercizi di cubismo. Miniature letterarie con un elemento in comune: quello del genere poliziesco, o meglio della detective story. A distanza di due anni e mezzo, con il libro accanto a me qui a Varsavia, devo ammettere che non si tratta di una raccolta di semplice lettura. Alcuni dei racconti appaiono riusciti, altri meno. O forse questi ultimi richiedono soltanto più tempo e una seconda lettura per essere apprezzati. Un modo per scoprirlo è procurarsi l’edizione italiana del libro, uscita per i tipi di Bompiani già nel ’62 e ripubblicata da Mursia nel 2011 con il titolo ‘Racconti dall’una e dall’altra tasca’ per la traduzione di Bruno Meriggi.

Tuttavia, il mio suggerimento è quello di avvicinarsi a Karel Čapek in altra maniera. E ho in mente un titolo ben preciso.

Salamandre alla riscossa

Ignoro se ‘La guerra delle salamandre‘ sia o meno il capolavoro di Čapek. Robert Wechsler, editore americano dello scrittore ceco, sostiene che tale onore spetti alla trilogia composta da Hordubal, Povětroň (‘Il meteorite’) e Obyčejný život (‘Una vita normale’). Quest’opera è uscita in Italia in un unico volume – ‘Hordubal ed altri‘ – edito da Silva Editore, tradotto da Giuseppe Mariano e purtroppo da tempo fuori catalogo. Altri, invece, propendono per l’apocalittica piece teatrale di Bílá nemoc (La pestilenza bianca) – inedita in italiano – pubblicata nel ’37 e che presenta sinistre analogie con quello che sarebbe accaduto in Europa meno di due anni più tardi. Nell’impossibilità di leggere queste opere, tuttavia, non posso fare a meno che consigliare ‘La guerra delle salamandre’.

Scritto nel ’36 e ancora oggi ritenuto uno dei grandi classici della fantascienza mondiale, ‘La guerra delle salamandre’ (Válka s mloky) è un romanzo distopico. A differenza di classici del genere come ‘1984‘ di George Orwell, ‘Il mondo nuovo‘ di Aldous Huxley, ‘Noi‘ di Evgenij Zamjatin o ‘Kallocaina‘ di Karin Boye, la distopia di Karel Čapek non ha a che vedere con totalitarismi o assuefazioni. Il romanzo si sviluppa invece dallo scatenarsi di una variabile naturale impazzita che lo avvicina a un’opera ad esso successiva come ‘Il giorno dei trifidi‘ di John Wyndham. Se nel classico sci-fi dello scrittore inglese era la ribellione di gigantesche piante carnivore create per scopi commerciali a minacciare l’umanità, Čapek introduce creature assai più comuni e dall’aria mite: le salamandre.

Čapek

Partendo da un incipit à la Salgari e degno del recente successo di David Mitchell ‘L’atlante delle nuvole‘, l’autore ceco ci porta nei mari del Sud, dove fra le isole dell’Indonesia il capitano Van Toch scopre una nuova specie di anfibi. Le salamandre in questione hanno una particolarità: sono instancabili lavoratrici subacquee capaci di eseguire ordini elementari e, come tali, si rivelano perfette nell’allevamento industriale di perle. Il successo delle nuove salamandre è tale che un imprenditore senza scrupoli decide di impiegarle ai quattro angoli del mondo come manodopera a zero costo e altissima efficienza in ambiziosi progetti di ingegneria idraulica. Nel frattempo, la comunità scientifica comincia a studiare da vicino comportamenti, sessualità e processi riproduttivi di queste strane salamandre. Ed è qui che Čapek si diverte tantissimo a imitare lo stile pomposo e autoreferenziale di alcune pubblicazioni accademiche.

Sennonché, un giorno accade l’impensabile. Una di queste salamandre sui generis custodita nello zoo di Londra, ‘Andy’ parla a un guardiano. Non solo l’anfibio in questione dimostra presto di capire l’inglese e sapersi esprimere, ma sa anche leggere e modella il proprio linguaggio sui titoli ad effetto e gli slogan pubblicitari dei quotidiani con un effetto comico e sinistro al tempo stesso. La presa di coscienza dei propri mezzi intellettuali da parte di Andy innescherà un crescendo di conseguenze drammatiche che porterà le salamandre a sabotare le dighe da loro stesse costruite in giro per il mondo, dichiarando di fatto guerra agli umani, colpevoli di averle ridotte in schiavitù. Questa, in estrema sintesi e senza svelarne la conclusione, è la trama de ‘La guerra delle salamandre‘ un libro spassoso, ma anche premonitore delle difficoltà di dialogo oggi presenti a livello internazionale, con gli interessi economici a prevalere spesso sul rispetto reciproco. Un libro importante, intelligente e ironico che sarebbe riduttivo considerare soltanto ‘di fantascienza’. L’edizione italiana del romanzo, uscita nel 2009 per i tipi di UTET con la traduzione di Bruno Meriggi, è quindi consigliatissima e disponibile in biblioteca e libreria.

Bibliografia consigliata:

Fogli italiani trad. Daniela Galdo (Sellerio, 1992)

L’anno del giardiniere trad. Daniela Galdo (Sellerio, 2009)

La guerra delle salamandre trad. Bruno Meriggi (UTET, 2009)

Racconti dall’una e dall’altra tasca trad. Bruno Meriggi (Mursia, 2011)

R.U.R. trad. Alessandro Catalano (Marsilio, 2015)

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