Biblioteca della memoria: quando la lettura è un dovere

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Spunti di lettura per una comprensione critica e profonda

di Mara Giacalone

A noi di PoloniCult non serve e non è mai servita la data simbolica del 27 gennaio per occuparci di Shoah e di tutto il complesso mondo che le ruota attorno. Sarà che scegliendo di occuparsi di Polonia, ad un certo punto soffermarsi su determinate questioni è non solo fondamentale ma necessario, sarà che abbiamo una certa sensibilità umanitaria, sarà che siamo, nei più disparati sensi e significati, “ricercatori”, fatto sta che non riusciamo ad esimerci dal parlarne sempre. In questa data particolare, invece che soffermarci su un libro preciso, abbiamo deciso di regalarvi una sorta di biblioteca della Memoria, pensata da noi per voi. Non abbiamo vergogna ad ammettere che la questione su che titoli inserire sia stata abbastanza dibattuta, ma alla fine siamo giunti ad una conclusione che sarà esposta qui sotto assieme a tutte le motivazioni che riteniamo opportuno fare e dare.

Partiamo da PoloniCult.

Zofia Nałkowska – Senza dimenticare nulla. Brevi, rapidi, scarni e affilati: ecco come si presentano i pochi brani contenuti in questa bellissima – se l’aggettivo mi è concesso – raccolta. Si, chiedo il permesso di utilizzarlo perché può esserci un “bello” in tutto questo, e lo si incontra davanti alla maestria con cui vengono rese tutte quelle esperienze che fanno parte della parola Olocausto. Il lavoro della Nałkowska segna un punto molto importante nella narrativa della memoria, perché è uno di quei pochi testi scevri di sentimentalismo che lascia libero spazio alla voce diretta, senza che ci siano finzioni ed elementi edulcorati. È il frutto del suo lavoro come membro della Commissione centrale d’inchiesta sui crimini tedeschi in Polonia: 7 voci che arrivano dritte nello stomaco e vi obbligheranno a chiudere il libro per non leggere. Ma d’altronde se cedessimo, finiremmo per dimenticare qualcosa, e noi non vogliamo scordarci nemmeno della signora che la Nałkowska incontra al cimitero, o Dwojra Zielona che perse un occhio, ma che nonostante tutto afferma queste parole

[…] volevo vivere. Perché? Glielo dico io perché: per poter raccontare un giorno tutte queste cose, proprio come sto facendo adesso. Il mondo deve sapere quello che hanno fatto.

Hanna Krall – Il re di cuori. La scrittura giornalistica e asettica della Krall non si distacca moltissimo da quella della Nałkowska, nonostante risulti più pesante e meno scorrevole nella lettura di questa memoria. Probabilmente l’effetto è causato dal fatto che chi racconta lo fa senza freni, e questi non vengono usati nemmeno – e giustamente – da chi raccoglie la testimonianza ed è poi chiamato a trascriverla. Il racconto un po’ confusionario di una donna che ha dato tutto per resistere. Una memoria che ci travolge e ci tiene in apprensione fino all’ultima pagina e che offre uno spaccato non tanto della vita al di là dei fili spinati, ma di chi rimase in città, per non dimenticare che la guerra e la sofferenza abitavano anche lì.

Marek Edelman – C’era l’amore nel ghetto. Personalmente, Edelman è uno dei miei eroi. Ho in mente tante sue foto in cui sorride in quel modo dolce che ricorda un nonno sulle cui ginocchia siede un nipote disposto ad ascoltare le sue storie. E che storie, potrebbe raccontare Marek! Possiamo ritenerci fortunati perché ce le ha raccontate. Sulle sue ginocchia ci si siede tutta l’umanità, la quale dovrebbe prestare attenzione alle sue parole. In questo libricino – grazie Sellerio! – ci sono storie, vite, volti per dimostrare che nel ghetto non c’era solo morte – c’era altro, perché altro sono le persone anche e perfino quando gli si toglie tutto.

Art Spiegelman – Maus. Cambiamo tipologia narrativa, cambiamo prospettiva, cambiamo voce. Maus porta con sé una gran fama poiché si presenta come una graphic novel. Può lasciare perplessi e perfino indignati (?) che si sia rappresentata la Shoah attraverso il disegno, il fumetto. Ma non è peggio quando in libreria o in televisione si leggono/vedono storie sui campi di concentramento e di sterminio che sono pura invenzione? Questo è riprovevole. Art ha semplicemente accolto, fatto sua, la storia di cui è figlio; parla della vera vita del padre, solo attraverso uno strumento meno ortodosso ma che era a lui più vicino per dar spazio ad un fardello che non doveva essere propriamente leggero…

Vasilij Grossman – L’inferno di Treblinka. Pochissime pagine per raccontare e ricreare un inferno terrestre di cui, apparentemente, non è rimasta traccia. Ma non dobbiamo essere così ottimisti. Le tracce ci sono e i testimoni pronti a prestar voce a tutto ciò, pure. Grossman è tra di loro. Russo, arriva a Treblinka con l’armata rossa; è vero, e qui si potrebbero aprire mille e una parentesi, ma soffermiamoci sull’importanza del suo lavoro, non per chi scriveva. Quelle parole così aspre e dirette che ci sembrano sussurrate ma ci rimbombano nelle orecchie, assieme all’odore denso dei corpi cremati e al freddo pungente di una Varsavia in inverno sono un ulteriore monito che ci invita a guardare anche là dove sembra non esserci nulla.

Per una lettura critica

Se in questa prima parte abbiamo segnato i testi su cui ci siamo già soffermati e ai quali abbiamo dedicato degli articoli, la seconda parte del pezzo vuole presentare libri di cui, sulla nostra pagina virtuale, non si è ancora trattato ma che meritano di essere annoverati tra quei testi critici necessari per arrivare ad avere un quadro approfondito e a una visione più ampia di questo che purtroppo sta sempre più diventando un fenomeno pop, in cui la teatralizzazione e la drammatizzazione sono i nuovi protagonisti. Noi non vogliamo e non pretendiamo di insegnare niente a nessuno, ma crediamo che la cernita fatta sia ragguardevole e per questo, uno dei criteri a cui ci siamo attenuti, è la conoscenza in prima persona dei libri citati; inoltre abbiamo pensato di puntare a testi diversi in modo da avere a disposizione un panorama ampio e ben strutturato.

Tadeusz Borowski – Da questa parte per il gas
Marek Edelman e Hanna Krall – Zdążyć przed Panem Bogiem (in italiano: Arrivare prima del Signore Iddio)
Jan Karski – La mia testimonianza davanti al mondo
Janusz Korczak – Diario del ghetto
Primo Levi e Leonardo De Benedetti – Così fu Auschwitz
Władysław Szpilman -Il pianista
Tadeusz Pankiewicz – Il farmacista del ghetto di Cracovia 
Henryk Grynberg – La guerra degli ebrei

Kazimierz Wyka – Życie na niby
Piotr Forecki – Od Shoah do strachu
Jan Błoński – Biedni polacy patrzą na getto

La lista, ovviamente, potrebbe continuare per molto ancora ma già solo fin qui il lavoro non è poco e la lettura non semplice. Siamo certi che non mancheranno, a noi in primis e poi a voi, occasioni di parlare e leggere altro che non sia compreso qui sopra. Abbiamo puntato all’essenziale ma non al banale. La raccolta di Borowski, ad esempio, è in linea con il testo della Nałkowska, lo stile molto simile, ma un racconto molto più commosso e sentito – come potrebbe non esserlo, visto che il Tadek protagonista è la voce diretta dello scrittore? O il resoconto di Karski, quel lavoro monumentale – e non mi riferisco solo al numero di pagine – che non parla solo delle atrocità naziste ma di tutto il complesso mondo che gli ruotava attorno. Perché troppo spesso si tende a parlare solo dell’orrore delle deportazioni e di quello che accadeva nei campi, come se fosse una cosa scissa dalla guerra che si combatteva fuori. Una guerra fatta di una straordinaria resistenza che va ricordata e va tenuta presente quando si parla di questo fenomeno complesso. E La mia testimonianza davanti al mondo ci regala degli spaccati incredibili, come ad esempio il capitolo in cui si racconta della stampa o dell’istruzione che, grazie allo stato clandestino, poterono continuare a (r)esistere. Similmente, nel testo Zdążyć przed Panem Bogiem, il racconto dell’insurrezione del ghetto di Varsavia, una delle pagine più incredibili – permettetemi questa parola intrisa di una punta di eroismo – della seconda guerra mondiale, che ci arriva da Edelman, quel vecchio nonno di cui sopra. Per poi arrivare a leggere qualcosa di uno dei nomi che immediatamente si associa al 27 gennaio, Primo Levi. Ma non quello che conosciamo già, se no non avrebbe molto senso questo articolo. Così fu Auschwitz è la raccolta di documenti scritti da Levi e da De Benedetti, sopravvissuto assieme al primo, che forse non offriranno una lettura emozionante come le diverse memorie, ma ci danno un quadro preciso e quasi scientifico di ciò che era: c’è il rapporto sulle condizioni igienico-sanitarie di Monowitz, le dichiarazioni per il processo Höss e Bosshammer, diverse riflessioni… Qualcosa di diverso ma che, lo ripeto, fa parte di quel mondo. E se vogliamo seguire il monito “senza dimenticare nulla”, non possiamo limitarci ad un solo corpus di testi, non solo alle memorie. è troppo semplice alzarsi il 27 gennaio e obbligarsi di ricordare perchè è una data che ci viene imposta dall’alto. Dovremmo ricordare ogni giorno, ma non solo questo, ricordare anche ciò che continua ad accadere, perché le parole di Levi pronunciate nel 1973 sono valide tutt’ora.

La dottrina da cui i campi sono scaturiti è molto semplice, e perciò molto pericolosa: ogni straniero è un nemico, ad ogni nemico deve essere soppresso; ed è straniero chiunque venga sentito come diverso, per lingua, religione, aspetto, costumi e idee.

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