Sull’opera che più di tutte raccoglie e racconta l’insurrezione di Varsavia: il Pamiętnik di Miron Białoszewski.
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di Lorenzo Berardi
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Questa recensione si basa sulla versione in lingua inglese del Pamiętnik, ‘A Memoir of Warsaw Uprising’. Si ringrazia Lucia Pascale per il prezioso e indispensabile aiuto fornito nella stesura.
Pamiętnik z powstania warszawskiego (Memorie dell’Insurrezione di Varsavia) del poeta e autore varsaviano Miron Białoszewski è un’opera preziosa per molti motivi. Innanzitutto per la sua unicità. Il libro in questione, infatti, non è né un diario – come il titolo polacco potrebbe suggerire – né una cronaca cronologica e ragionata degli eventi verificatisi nell’estate del ’44 nella capitale polacca. Nè d’altra parte siamo alla prese con una narrazione ispirata ad esperienze personali vissute durante l’occupazione nazista di Varsavia ma romanzata come accade, ad esempio, in ‘Rondò’ di Kazimierz Brandys o ne ‘La bella signora Seidenman’ di Andrzej Szczypiorski.
Ed è forse inutile aggiungere come il Pamiętnik, pur essendo stato pubblicato a ventisei anni di distanza dal Powstanie Warszawskiego (PW), non è un testo storico che ricostruisce le motivazioni o analizza il – seppur coraggioso – fallimento di quella rivolta. Chi cerca testi utili a comprendere l’Insurrezione di Varsavia iniziata il 1° agosto ’44 e terminata il 2 ottobre dello stesso anno dopo 63 giorni di guerra strada per strada e atrocità commesse ai danni di inermi civili può rivolgersi altrove. Due ottimi libri da cui partire sono ‘La rivolta. Varsavia 1944’ di Norman Davies oppure il più recente, ed eccellente, ‘Warsaw 1944’ di Alexandra Richie, quest’ultimo ancora inedito in italiano.
L’insurrezione vista dall’interno
In questo libro, Białoszewski spiazza il lettore creando un’opera che si discosta da qualsiasi forma narrativa convenzionale. Le sue memorie dell’insurrezione di Varsavia sono al tempo stesso incredibilmente dettagliate e cronologicamente confuse, quasi una cronaca in tempo reale di avvenimenti vissuti in prima persona. Il tutto descritto con l’occhio vigile di un poeta che è anche un giovane energico consapevole di una città che gli crolla letteralmente addosso, ma anche della necessità assieme adrenalinica e polemica di restare vivi.
Anche per questo il ritmo della narrazione è vorticoso e sincopato, composto da frasi telegrafiche e spesso lapidarie intervallate da brani di preghiere, marcette militari, ninnananne, brandelli poetici postmodernisti e istantanee di riflessione introspettiva. L’effetto è quello di creare un senso di immedesimazione nel lettore che si ritrova catapultato assieme al giovane Miron in quei 63 giorni di eventi tumultuosi tra barricate, cumuli di rovine, scantinati e fognature in una geografia varsaviana in continuo mutamento. Eventi descritti in modo spontaneo e quasi in presa diretta con una minuzia di particolari che li rende oltremodo reali.
Una precisazione importante è che l’autore – ventiduenne all’epoca dei fatti – non ha partecipato alla rivolta nelle fila dell’Armia Krajowa (AK) o di qualsiasi altro movimento partigiano. Białoszewski quindi descrive l’insurrezione dal punto di vista di un acculturato ventenne innamorato di Varsavia e sempre pronto a prestare soccorso, ma che non recita una parte attiva nei combattimenti, costretto ad essere un bersaglio in costante movimento. Proprio questo punto di vista consente all’autore di non cedere alla retorica dell’eroismo o del vittimismo nell’osservare e commentare gli scontri fra partigiani e occupanti nazisti.
Ben presto Białoszewski si ritrova intrappolato nel reticolo della città vecchia (la Stare Miasto, chiamata qui affettuosamente “Starówka”) di Varsavia sottoposto agli incessanti bombardamenti dei nazisti, cercando rifugio di rovina in rovina e l’affanno di quei giorni è tangibile. Il contrasto fra le scene di diffusa distruzione, fra ciò che è stato e non è (o non sarà) più, e la calda soleggiata estate in corso rende l’effetto di queste pagine ancora più drammatico. Il giovane Miron al tempo stesso teme e anela l’altra sponda della Vistola, verdeggiante e beffarda. Qui, il sobborgo di Praga gli pare “un’altra città” in cui la vita va avanti tra le cupole a cipolla di una chiesa ortodossa e i campanili “pseudo-gotici” della chiesa di San Floriano, ma sui cui alti alberi che costeggiano il fiume immagina se ne stiano appollaiati i nazisti.
Dispacci che lasciano il segno
Dal punto di vista stilistico colpisce come nei suoi frammenti narrativi Białoszewski si soffermi su aspetti apparentemente poco significativi come la toponomastica di strade, chiese e conventi o i dettagli architettonici di edifici sbriciolati dai cannoneggiamenti. L’autore descrive inoltre scene di vita sotterranea quotidiana che hanno poco di eroico come gli impacciati e per certi versi inconcepibili momenti di intimità fra uomini e donne al termine di una giornata di scontri o le conversazioni fra perfetti sconosciuti in latrine improvvisate su porte dotate ancora dei loro cardini.
Il linguaggio, invece, propone un lessico colmo di espressioni gergali della Varsavia del tempo, neologismi, onomatopee, metonimie e anacoluti. Ambiguità semantiche in alcuni casi difficili da afferrare persino per madrelingua polacchi e che rappresentano una sfida da non poco per qualsiasi traduttore. Il fatto che l’opera sia stata scritta 26 anni dopo gli eventi narrati, fa sì che – di tanto in tanto – l’autore commenti un avvenimento alla luce di quanto ha imparato dopo il conflitto.
Ci sono momenti in cui i piani temporali si sovrappongono e l’esperienza vissuta in prima persona nell’estate del ’44 viene arricchita e integrata da conoscenze successive. Białoszewski, ad esempio, ricorda che alcuni tombini erano collegati da intrecci di filo spinato a granate così da esplodere all’uscita dei partigiani. Tuttavia, questo dettaglio non proviene da un’osservazione diretta del giovane Miron, ma dalla visione di un celebre film del ’57: ‘Kanal’ di Andrzej Wajda.
Memorie in polacco, inglese e…italiano
Pur essendo stato pubblicato in Polonia per la prima volta quarantotto anni fa, Pamiętnik z powstania warszawskiego è a oggi inedito in italiano. Un’assenza sorprendente che, tuttavia, si appresta ad essere presto colmata grazie ad Adelphi. È per i tipi dell’editore milanese che uscirà infatti una versione italiana dell’opera per la traduzione di Luca Bernardini, già curatore de ‘La mia testimonianza davanti al mondo’ di Jan Karski, pubblicato nel 2013.
Proprio Bernardini, professore di Slavistica all’Università degli Studi di Milano, ha motivato la lunga assenza di traduzioni italiane del Pamiętnik in un articolo pubblicato su Comparatistica. Annuario italiano 2005. Tra le regioni addotte per questo oblio vi sono la peculiarità della poetica di Białoszewski, che non ha analoghi letterari tanto stilistici quanto contenutistici, e la difficoltà di inquadrare l’esperienza partigiana dell’insurrezione varsaviana in un’ottica italiana.
Nel frattempo, chi può leggere il libro in polacco ha a disposizione 16 edizioni tutte pubblicate dalla casa editrice PIW: dalla iniziale, uscita nel 1970, passando per quella del 2014 – la prima non censurata – sino all’ultima in ordine di tempo, uscita nel 2016 e arricchita da due mappe. Le medesime mappe, una illustrante i luoghi dell’insurrezione e l’altra i percorsi dall’autore durante la stessa, si trovano in coda alla versione americana edita nel 2015 dai tipi di New York Review of Books con il titolo ‘A Memoir of the Warsaw Uprising’ e la traduzione di Madeline G. Levine.
E proprio in Polonia di Białoszewski non si è mai smesso di parlare nonostante l’Insurrezione di Varsavia descritta nel Pamiętnik sia lontana dall’acritica agiografia oggi spesso e volentieri associata a questa pagina di storia polacca. Negli ultimi anni sono uscite opere a lungo inedite dell’autore scomparso nell’83 come il Tajny dziennik (Diario segreto), mentre la casa editrice PIW ha addirittura pubblicato una monumentale opera completa di Białoszewski in 14 tomi.
Per quanto riguarda ulteriori scritti di Miron Białoszewski disponibili in italiano, una manciata di poesie è dispersa in introvabili riviste e irreperibili raccolte. Eppure già nel ’61 Carlo Verdiani aveva tradotto versi dell’autore includendolo nell’antologia ‘Poeti polacchi contemporanei’, pubblicata da Silva Editore. Quarant’anni più tardi è toccato al già citato Luca Bernardini tradurre altre poesie dell’autore varsaviano pubblicandole sulla rivista di letteratura ‘In forma di parole’. Su Internet, infine, si trovano alcuni scritti di Białoszewski tradotti da Paolo Statuti e Lorenzo Pompeo.