Bartosz Szczygielski, la nuova leva del noir polacco

(Photo by Kuba Celej

Intervista con Bartosz Szczygielski, giovane leva del noir polacco e già autore di successo

di Salvatore Greco e Francesco Annicchiarico

(articolo in collaborazione con Nova Books Agency)

Bartosz Szczygielski è stato l’autore debuttante più di successo del 2017. Forse perché il suo debutto lo preparava da tempo, tenuto nel cassetto per anni e sognato per chissà quanto. Forse perché ha scelto un genere molto amato come il noir, inserendoci una vena tutta sua e personaggi intriganti. Forse perché ha trovato da subito quello che tanti altri scrittori cercano per tutta una vita: una lingua che fosse sua, riconoscibile, netta. Lo abbiamo incontrato in un caffè del centro di Varsavia per parlare della sua trilogia (Aorta, 2017; Sangue, 2018; Cuore, 2019;) e anche dei suoi progetti futuri. I diritti dei suoi libri per l’Italia sono rappresentati in esclusiva da Nova Books Agency.

Come hai iniziato a scrivere? E perché hai scelto proprio il giallo?

Perché sono fondamentalmente pigro. Scrivevo già da tempo, racconti, soprattutto di fantascienza. Poi a un certo punto ho saputo di un seminario di scrittura che offriva vitto e alloggio a Breslavia in occasione del festival del poliziesco. Per partecipare, bisognava passare da un concorso che consisteva nello scrivere un racconto poliziesco. E allora mi sono detto: perché no? Ci ho provato e ho vinto. Così sono andato a Breslavia e lì mi hanno detto che in realtà non avevano poi molto da insegnarmi, che ero pronto e che non dovevo fare altro che rimboccarmi le maniche e iniziare a scrivere il mio romanzo. Solo che io ero pigro e un po’ insicuro, e mi sono detto che era ancora troppo presto Così ho frequentato un altro seminario, questa volta con Katarzyna Bonda, e poi sono andato di nuovo a Breslavia. E me l’hanno detto di nuovo: non c’è niente che ti possiamo insegnare, buttati, scrivi il tuo libro! E allora l’ho fatto. Una volta finito il manoscritto l’ho mandato a W.A.B., gli è piaciuto e in poco tempo è uscito Aorta. Ho avuto buoni riscontri che mi hanno fatto pensare che forse sarebbe valso la pena dare un po’ di regolarità a tutto questo. Mentre scrivevo Aorta avevo già le idee precise per tutta la trilogia, così mi sono messo lì e nel giro di due anni ho scritto gli altri due volumi.
Quindi insomma sono pigro, lo ero perlomeno, ma ora che è diventato un lavoro e non è più un hobby mi piace anche di più e spero che continui così.

Come è cambiata la tua vita da quando la scrittura è diventata il tuo lavoro?

Per la verità non è il mio unico lavoro, continuo a farne uno per così dire… tradizionale, come giornalista. Il vero cambiamento nella mia quotidianità è che dopo il lavoro non ho tempo libero, ma mi metto a scrivere. È stancante, certo, ma mi piace da morire, è quello che avrei sempre voluto fare. Sai quell’immagine tipica e un po’ romantica dello scrittore? Quando ne immagini uno lo vedi lì che batte sui tasti seduto in veranda pensoso mentre fuma la pipa. Bene, con me è un po’ diverso, anche io batto sui tasti ma lo faccio in cucina e fumando sigarette. Da poco ho iniziato a lavorare a un libro nuovo, ma ci ho messo sei mesi a raccogliere le idee prima di scrivere anche solo una parola. Una volta che inizio a scrivere poi riesco a tenere il ritmo, ma ovviamente in modo più lento rispetto a come sarebbe se facessi solo questo. Sto imparando a diventare sempre più sistematico, se tutto andrà bene, il mio nuovo libro sarà pronto per febbraio del 2020.

Puoi anticiparci di cosa si tratterà?

Una cosa tutta nuova, separata dai temi e dai personaggi della trilogia. Ok, tutta nuova forse no. Sarà comunque un romanzo un po’ oscuro e dai contorni noir, ma non sarà un giallo vero e proprio. In ogni caso credo che i lettori non resteranno delusi.

Dicevi che stai lavorando per diventare più sistematico. Scrivi ogni giorno?

Sì, assolutamente. Non è facile, non è come scrivere ogni giorno un articolo, ma senza questa regolarità penso che non caverei un ragno dal buco. Quindi sì, mi metto lì ogni giorno a scrivere, non ci sono feste, weekend o pause che tengano. È importante.

E ne hai sempre voglia?

Certo che no! (ride) E non credo nemmeno nella vena, nell’ispirazione o cose così. Ci sono giorni in cui va meglio, altri che vanno molto peggio. Capitano le volte che sto lì anche un paio d’ore su una pagina o magari scrivo due paragrafi e poi li rileggo e mi fanno schifo. Ma nonostante tutto la regolarità mi dà molto. Se voglio che venga fuori un libro decente, non posso fare altrimenti.

Qual è stato il libro più difficile da scrivere?

Direi, Aorta, il primo. Anche se ero fresco di corsi e seminari, non mi sentivo sicuro. Anche perché all’inizio avevo preso la cosa sottogamba. Pensavo che scrivere un romanzo fosse come scrivere un racconto, solo un po’ più lungo. Ma ovviamente non è così. E poi la paura alla fine: e se non interessasse a nessuno? Io nel frattempo ci stavo dedicando tanto tempo. Tempo che poteva finire buttato. Poteva venire fuori un libro scialbo, invendibile, e più ci pensavo più mi dicevo che avrei potuto occupare il mio tempo a fare altro. Per fortuna mi stava piacendo scriverlo. Con gli altri due è andata meglio, anche se poi quando si avvicinava la fine del terzo tomo ho avuto un po’ di problemi, più emotivi che tecnici. Dovevo dire addio a dei personaggi che mi accompagnavano da tre anni, mi ero abituato alla loro presenza. Anche se allo stesso tempo ero contento di essermi liberato di questa storia e di potere andare avanti finalmente.

Come è nata l’idea della trilogia? Hai sviluppato temi e personaggi che venivano dai tuoi racconti?

No, ma in qualche modo è legata a quell’esperienza. L’idea mi è venuta durante il primo seminario a Breslavia quando ne ho parlato con Mariusz Czubaj. Immaginavo già dall’inizio come sarebbe dovuta andare tutta la storia e sono riuscito a mantenere il progetto fino alla fine. Quello che è arrivato strada facendo è stato lo stile, il modo in cui sono riuscito a creare atmosfere diverse seppur attorno agli stessi personaggi. Aorta è più in stile noir, Sangue dal canto suo è più un thriller classico e in Cuore invece ho giocato sugli elementi del thriller moderno, con influenze da tv e serie. L’ho fatto per non fare annoiare, ma allo stesso tempo mi sono sforzato di mantenere uno stile riconoscibile. Perché i lettori possano dire: hey, questo è Szczygielski, lo voglio leggere. E poi mi piaceva l’idea della serie, ma senza esagerare. Il tre è un bel numero e tre volumi sono abbastanza.

Dunque, questa è la fine dei tuoi personaggi. Ma è definitiva? O pensi di tornarci un giorno?

Di sicuro non con un altro romanzo. È un po’ il discorso di prima, sarebbe una minestra riscaldata. Non escludo di tornarci con dei racconti magari, ma per ora non ci penso più di tanto. Ho altre idee in testa per altre cose e vorrei dedicarmi a quelle. Poi da lettore penso sempre ai volumi pubblicati postumi di Stieg Larsson, del tutto inadeguati al resto di Millennium. Capisco il senso editoriale di un progetto del genere, ma mi è rimasto l’amaro in bocca per questa cosa.

A proposito di Larsson. A chi ti ispiri quando scrivi? E cosa ti piace leggere in generale?

Evito a ogni costo di ispirarmi ad altri giallisti perché vorrei mantenere una certa originalità, per quanto posso. Tra gli autori a cui mi ispiro in generale c’è certamente Chuck Palahniuk. Lo adoro, davvero. Certo, a grosse dosi è quasi indigeribile, ma con delle pause tra un libro e l’altro posso dire che è il mio scrittore preferito e mi piace provare ad applicare alcuni suoi trucchetti nei miei libri. E mi ispiro anche a McCarthy, nel modo in cui risolve determinate situazioni. Nel senso che, come lui, uso più le descrizioni dei dialoghi, cosa che a volte fa abbassare la tensione, ma è voluta. Poi certo, sono capitati i lettori che si sono lamentati dell’azione che in certi punti sembra lenta, ma mi piace scrivere tenendo presente i lettori forti e non quelli “da treno”, di quelli che leggono per un’oretta e poi si dimenticano tutto.

Hai scelto come ambientazione dei tuoi romanzi Pruszków, la città dove vivi. All’estero forse è un nome che dice poco, ma in Polonia è inevitabile il collegamento con le storie di mafia degli anni ’90 del capitalismo impazzito. Quali elementi hanno pesato in questa tua scelta?

Abito a Pruszków da più di trent’anni, quindi praticamente da sempre. Ricordo bene l’atmosfera che si viveva durante gli anni della mafia: le sparatorie per le strade, il contrabbando, i tipi loschi eccetra. Credo che fossero poi cose meno diffuse di come le raccontavano i media, ma è anche vero che io avevo dieci anni quindi la mia percezione era limitata. Diciamo che per scrivere la trilogia ho approfittato del fatto che ancora in Polonia se dici Pruszków la gente pensa alla mafia. Mi sono detto che poteva essere un esperimento interessante per portare la mia città sulla mappa dei romanzi gialli polacchi. Le grandi città ci sono tutte: thriller ambientati a Varsavia, a Danzica, a Breslavia, a Cracovia… A Pruszków niente, solo qualche telefilm, ma poca roba. Pruszków non è più una città di mafia, è vero, ma ho provato a immaginare cosa sarebbe successo se invece lo fosse ancora.
Poi del resto nel mio romanzo l’elemento della mafia non è poi preponderante. Ci ho anche giocato un po’, pescando nei luoghi comuni e provando a spezzarne un po’ i limiti. Il mio antagonista mafioso in Aorta per esempio vive nascosto in una cantina come un capo di tutti i capi (in italiano nelle intenzioni, NdT) e il mio protagonista è un poliziotto distrutto dalla vita. Sono schemi noti, ormai patrimonio dell’immaginario comune, ma sono lì apposta per creare una familiarità iniziale che poi invece provo a sconvolgere.

Volevi mettere Pruszków sulla mappa letteraria del giallo e ci sei riuscito. A questo punto mi chiedo: come hanno reagito la città e l’amministrazione in particolare?

Devo essere sincero: per i primi due tomi sono stati abbastanza freddi, solo con la pubblicazione del terzo volume si sono interessati. Recensioni sui giornali locali, presentazioni nelle biblioteche comunali sono arrivate solo da poco. Il comune ha un po’ glissato sul tema. Magari, per una città che prova a far dimenticare il suo passato di mafia, un autore che rievoca quella storia non era proprio l’ideale, chissà…

E i lettori di Pruszków come hanno reagito?

Molto positivamente. Hanno apprezzato la precisione topografica. Non c’è nulla nei miei romanzi che non esista davvero in città, mi sono ripromesso di restituire fedelmente i posti, naturalmente cambiando nomi ai ristoranti e ai bar, e i lettori di qui lo hanno apprezzato. Per me è una forma di riconoscimento, vuol dire che sono stato bravo a descrivere alcune cose. Per alcuni posti in particolare poi, sono andato così a fondo da fare scoprire anche ai locali cose che non conoscevano della città, come la storia dell’ospedale psichiatrico da cui inizia Sangue, il secondo volume.

È stata una parte difficile del lavoro?

Solo per raccogliere i materiali per Aorta mi ci sono voluti due mesi, e va a finire che poi tanto lavoro si risolve nello spazio di mezza pagina. Ma è comunque importante per me. Poi certo, non sempre, ci sono cose che non vale la pena riportare o che sono semplicemente noiose, come il lavoro dei poliziotti per esempio. Non c’è spazio per cose come i formulari da riempire in triplice copia o i rapporti da compilare. I lettori poi sono abituati alla loro visione del lavoro del poliziotto e la devi rispettare per andargli incontro.

I tuoi personaggi sono particolarmente realistici, soprattutto nella loro difficoltà ad affrontare la vita. Come ti sono venuti in mente? Ti sei ispirato a qualcuno dalla vita reale?

In tutti i personaggi c’è un po’ di me, è difficile separare del tutto i piani. Poi è chiaro che un giallo deve avere un poliziotto, un magistrato, un giornalista o comunque qualcuno che, per lavoro o per vocazione, ha l’attitudine all’indagine. Quindi, come dicevo prima, ho provato a usare gli strumenti classici del giallo per spezzarli più avanti. Con Kasia, la prostituta, ho invece deciso di creare un personaggio femminile forte, una che non fosse solo la quota rosa del protagonista maschile, ma un personaggio delineato e autonomo. E credo di esserci riuscito. E poi ho voluto evitare a ogni costo la prostituta di buon cuore pentita delle sue scelte. Kasia è una donna forte, consapevole delle decisioni che prende e dei guai in cui si ficca da sola. Ed era questa la mia intenzione da subito: un personaggio vitale e tenace, doveva essere il contrappeso perfetto per Gabriel, un gigante dai piedi d’argilla che a un certo punto perde proprio la voglia di vivere e le lascia il peso della responsabilità sulle spalle. Non volevo l’ennesimo stereotipo della donna fragile bisognosa di essere salvata, ma un personaggio duro, che se vuole può anche spaccarti i denti. Una con cui da lettore non ti devi identificare per forza, ma sei in grado di capirla. Ed era questa la cosa importante. Con Gabriel invece, mi interessava soprattutto mostrare come la realtà sia in grado di distruggerci in pochissimo tempo. E poi capire quanto davvero siamo in grado di fare in quelle situazioni.

Di chi sentirai di più la mancanza?

Kasia, nonostante tutto Kasia. Se Gabriel come personaggio mi è stato da subito chiaro e ho seguito fedelmente il mio piano, lei si è evoluta nel frattempo e ho lasciato il meglio della sua storia alla fine. Ho come la sensazione che si senta la mancanza di protagoniste femminili come lei nella letteratura di oggi. E me ne accorgo ogni volta che qualcuno mi dice che Kasia gli ricorda Lisbeth Salander della saga di Stieg Larsson. Sono personaggi completamente diversi, accomunati solo dall’essere due donne forti. E allora mi sono detto: quanti pochi personaggi come Kasia esistono, se appena ne vedi uno lo ricolleghi subito all’unico che hai letto di dieci anni fa?

Un’ultima domanda, per finire. Hai un qualche sogno letterario da realizzare?

No, credo di no almeno. Mi piacerebbe semplicemente che ognuno dei miei libri fosse sempre un po’ originale, ma al contempo che il mio stile rimanesse riconoscibile. Spero che anche fra qualche tempo un lettore possa prendere in mano un mio libro senza guardare la copertina, leggerne qualche pagina e possa dire: oh questo è Szczygielski.

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