Il brano che segue è tratto dal romanzo Wróżenie z wnętrzności di Wit Szostak (Powergraph, 2017). Tutti i diritti appartengono a Wit Szostak e Wydawnictwo Powergraph.
I diritti per la traduzione italiana sono liberi e gestiti in esclusiva da Nova Books Agency s.c.
Per informazioni: agent@novabooksagency.com
La traduzione dal polacco è di Francesco Annicchiarico.
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Non ci sono più binari, sono coperti dalla terra, ora hanno una propria vita sotterranea ricoperta dal terreno e dalle serre in cui Marta coltiva piante e verdure. Non ci sono più binari, li abbiamo sepolti sotto il giardino di Marta, ma c’è ancora la sbarra e lo scambio ferroviario, anche se qui di treni non se ne vedono più. Quando splende il sole mi siedo vicino alla sbarra e resto lì. Mateusz allora dice che Błażej controlla lo scambio. Ma io non controllo niente, quindi neanche qui do una mano. A volta passano le macchine per la strada. Se potessi io le farei passare qui, tanto i treni non ci sono più. Mi starebbero a sentire e passerebbero di qui, e io sarei il vigile. Così mi ha detto Mateusz. E ha pure trovato un berretto dove priva si metteva il capostazione. Era sicuramente un signore molto vecchio e molto buono che se ne stava tutto il giorno seduto al binario, pressava il tabacco nella pipa e contava le nuvole. Si diventa intelligenti a contare le nuvole e allora pure io me ne sto seduto col cappello da vecchio capostazione, che di certo è morto tanto tempo fa, perché era vecchio già nei racconti di mio fratello, e quei racconti sono di tanto tempo fa, quindi il capostazione è sicuramente morto, e io continuo a contare le nuvole e a volta di sera mi sento più intelligente. Solo che dura non più di quindici minuti, e a volte pure meno, specialmente quando Marta mi chiama a cena, e allora quell’intelligenza svanisce, scappa via da me e non torna più.
Io non è che non li aiuto solo perché non dico niente, ma anche perché non ci sono macchine che passano di qui per andare dove sono dirette, visto che la nostra stazione si trova alla fine dei binari e alla fine della collina, o alla fine del mondo intero? C’è un passaggio sì, ma di passeggeri non ce ne sono. È Mateusz che li inventa per me, perché pensa che io ne abbia bisogno. Che quando uno ha così tanto tempo si inventa un sacco di giochi e passatempi, e così passa un sacco di tempo, anche tutta la vita, si può scendere a patti col tempo così. E io allora faccio finta di sistemare le auto che non ci sono, di aprire e chiudere la sbarra, così Mateusz e Marta pensano che li stia aiutando. Ma io sto solo scendendo a patti col tempo per i minuti che seguono, alcuni più pieni, altri meno, perché è così che succede col tempo. E così anche con la mia parte di aiuto. Perché io davvero non posso aiutarli, nonostante gli sia davvero molto riconoscente, a Mateusz il buono e alla brava Marta. Ma per aiutarli c’è da scegliere, e io non scelgo mai, e c’è da essere fuori, anche se solo per un passo oltre se stessi, e io invece sono tutto dentro me stesso e non conosco nemmeno la strada per uscire. Non posso nemmeno parlare, perché le parole collegano il dentro con il fuori, e io riesco a stare solo dentro me, allora le parole gironzolano dentro di me e non mi lasciano.
Il vecchio capostazione una volta ha salvato la vita a Mateusz, così dice lui, quando Mateusz era giovane e andava a passeggiare in montagna. Era inverno, c’era la neve e Mateusz era solo, proprio solissimo su quelle montagne, e avrebbe potuto morire per quella solitudine, scese qui nella stazione ed era ancora solo, ma poi trovò il capotreno che gli fece un tè caldo e gli diede una coperta, e poi un po’ della sua cena e così Mateusz sopravvisse. E poi molti anni dopo il vecchio capotreno morì, perché era pure vecchio, e Mateusz fu molto triste perché erano diventati amici e aveva cominciato a venire qui alla stazione per fare visita e chiacchierare col vecchio capotreno, perché tutti e due erano intelligenti e avevano molte cose da raccontarsi. E poi Mateusz è diventato un uomo ricco e comprò questa stazione, questa piccola stazioncina di collina, perché disse che le ferrovie avrebbero distrutto le stazioni dimenticate, e lui non avrebbe mai permesso che gli distruggessero il posto in cui aveva ritrovato la vita. E quando chiusero questa linea ferroviaria, perché tutta la gente che la usava per viaggiare era morta o si era trasferita in città, allora Mateusz comprò la stazione e ora è diventato lui il capostazione. Veramente non so se sia lui il capostazione, o io, ma forse è lui perché la stazione è sua, a me invece non appartiene niente, nemmeno me stesso, perché io sono un randagio.
Questo racconta Mateusz a me e ai suoi figli, e io conosco Mateusz sin da quando non aveva ancora figli, e io non ero ancora un idiota, e so che Mateusz non andava a passeggiare per le montagne perché Mateusz non è uno da montagna, è più un mediterraneo. Ma i suoi figli non lo sapevano e ascoltarono quel racconto sull’inverno e sul vecchio capotreno, e io ascoltavo Mateusz fissandolo negli occhi, perché ero sicuro che non avesse fatto così freddo, che il capotreno fosse lì davvero, ma che tutto fosse andato diversamente.
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Mateusz e Marta hanno ristrutturato la stazione per abitarci dentro e così vivono al di fuori del mondo, ma Marta ospita anche delle persone ogni tanto, anche se non molti. Ci sono delle stanze, qui al primo piano, dove dormono i nostri ospiti, e non ci entra nessuno quando ci sono loro, e ci incontriamo tutti nella sala d’attesa della stazione, dove c’è il soggiorno e la mensa, e la cucina e tutto ciò che è in comune. Una grande vecchia sala d’attesa in cui crescono antiche palme in grandi vasi, risalenti ancora ai tempi delle ferrovie, che arrivano fino al soffitto che non si vede, perché nella sala d’attesa è tutto buio. In terra ci sono i tappeti colorati e le poltrone, tutte diverse tra loro. Ci si può addirittura perdere in questa sala d’attesa, ma del resto ognuno può perdersi per fatti propri. Certi si perdono sulle poltrone a leggere libri, poi si mettono a camminare con l’aria di chi è perso e hanno lo sguardo strano, di chi non sa più ritrovarsi. Altri si perdono nelle conversazioni, intorno a quel grande tavolo, e su di loro crescono le palme. E dalla sala d’attesa si può accedere al binario dove ci sono le panchine e i vasi di fiori e dove d’estate le donne si mettono nude a prendere il sole, tanto non guarda nessuno. Se passassero ancora i treni non si potrebbero mettere nude, perché nessuno si mette a prendere il sole su un binario, ma qui si può fare, perché intorno ci sono solo le montagne e basta.
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Marta e Mateusz sono seduti sulla banchina e non stanno guardando il sole. Una volta parlavano, ma adesso si parlano solo quando hanno ospiti. Ma quando alla stazione non c’è nessuno a parte noi, stanno in silenzio per giorni interi. Si piacciono ancora e si amano, certo, quindi è un silenzio gentile il loro, di cortesia, quando si incrociano in sala d’attesa o per le scale. E in effetti non hanno di che parlare, perché hanno già parlato di tutto all’inizio del loro amore. A quel tempo restavano svegli per tutta la notte a sussurrarsi molte cose, si raccontavano storie vere e inventate, parlavano di sé e dei loro amori, e dei loro interessi, e delle loro passioni, di musica e di letteratura, parlavano di arte e di infanzia. E adesso è stato già detto tutto e non ci sono più parole tra di loro, perché non esiste più un mondo oltre il loro mondo in comune, che si parla a fare di ciò che si conosce già? Le persone che vengono a trovarci parlano troppo, e a sproposito, dicono che il sole sorge e tramonta e lo dicono a Marta e Mateusz che lo sanno già, loro sanno tutto.
Non c’è di che parlare quando tutto è già stato detto, perché le parole sono importanti e bisogna usarle con parsimonia. Mateusz mi ha detto così un giorno, che le parole si consumano, e se parliamo troppo può anche succedere che poi ci mancano quando servono per le cose importanti. Ma qui non succedono cose veramente importanti, quindi Mateusz e Marta conservano le parole per il momento giusto. E tra loro due ci sono cose per cui non hanno ancora parole per discuterne, e le cercano tutto il tempo. Questo tema è sempre lì sospeso tra loro due e loro ne tacciono diversamente rispetto a come lo fanno per l’alba o il tramonto del sole. Le parole solite non vanno bene, e di insolite ce ne sono poche. Allora Marta e Mateusz aspettano quelle nuove, che magari arriveranno, magari sarà qualcuno a portarle, e magari la vita proseguirà nell’attesa di esse e non ci sarà più bisogno di cercare parole. Tacciono così, in molti modi diversi perché sono intelligenti, il mio fratellino e la sua moglie intelligente.
Qui succedono cose tutti i giorni, ci alziamo, mangiamo, dormiamo, riposiamo, a volte qualcuno ci viene a trovare e allora è importante parlarci. Io so che Mateusz ha sempre ragione, perché è intelligente e ha conosciuto la vera natura del mondo, così come quella dell’uomo e la natura del parlare. E lui lo sa come fare per metterle insieme, come fanno tutti gli uomini al mondo con la propria eloquenza. Lui sa come funziona, per questo è intelligente e tace. Ma sono io lo stupido, non parlo molto a voce alta, non racconto a nessuno cose su di me, quindi mi sono messo a scrivere ora, anche se scrivo a sussurri, così che nessuno mi senta, così che le parole non scoprano mai che le sto usando, altrimenti si sciupano e si rompono, si bucano e diventano da buttare. Perciò scrivo a sussurri, solo quando le parole non se ne accorgono, proprio come se stessi sussurrando mentre rubo a fior di dita la marmellata di more dalla credenza. E nessuno se ne accorge che lo faccio, poi
io la sera mi addormento con quel sapore in bocca e mi sento molto bene. Scrivo a sussurri, a fior di dita, le parole dormono, non se ne accorgono. Un uomo intelligente non scriverebbe mai, forse è solo una cosa da stupidi. Per chi è intelligente non è importante farlo, sa già tutto e non gli serve scrivere. E neanche per uno stupido sarebbe importante, tanto e stupido e non capirebbe mai chi è più intelligente, così come io non capisco bene mio fratello Mateusz. Può scrivere solo uno stupido, per questo lo faccio io.
E io mio fratello Mateusz non lo capisco perché nessuno lo capisce. Tutti gli dicono che ha fatto male a comprare questa stazione. Che dovrebbe stare in città e mettersi a lavorare lì, perché sa fare un sacco di cose e ha talento e potrebbe arrivare lontano, ed è già andato lontano, perciò potrebbe avanzare ancora e ancora. E lui se la ride e dice che, sì, è andato lontano, ma cos’avrebbe poi ottenuto. Marta a volte dice che Mateusz è scappato, che ha lasciato tutto e ha tagliato i ponti. Forse ha ragione lei. Io non lo so com’è perché io non ho mai lasciato niente, perché per lasciare qualcosa devi prima avercelo qualcosa, e io non ho mai avuto niente, quindi non ho mai potuto buttare via niente, o andare lontano, non ho mai avuto un lavoro o un talento, mai avuto prospettive. Tutti dicono che Mateusz avesse delle prospettive. E perciò non capiscono come mai questo uomo intelligente ora viva in una stazione vicino le montagne, dove non ci passano più nemmeno i treni, che ci vanno a fare in una stazione estranea. Le ferrovie fanno visita alle proprie stazioni, a quelle delle ferrovie, e questa qui invece è di Mateusz e Mateusz qui i treni non ce li fa venire. Mateusz ha lasciato tutto, ha lasciato il lavoro e la città, ha lasciato una carriera e delle prospettive, nemmeno le prospettive ha portato con se qui alla stazione, neanche una prospettiva si è messo in valigia. Ha portato solo Marta e i suoi figli che ora non ci sono perché sono andati dai nonni, per vedere cos’è una città, e per vedere come ci si sta, come vive la gente in città. Perché Marta lo sa che quanto Zuzanna e Szymon cresceranno andranno via dalla stazione, e torneranno al mondo.