Aruspici – Wit Szostak #1

Il brano che segue è tratto dal romanzo Wróżenie z wnętrzności di Wit Szostak (W.A.B., 2017). Tutti i diritti appartengono a Wit Szostak e Wydawnictwo Powergraph.
I diritti per la traduzione italiana sono liberi e gestiti in esclusiva da Nova Books Agency s.c.
Per informazioni: agent@novabooksagency.com 
La traduzione dal polacco è di Francesco Annicchiarico.

Sono il fratello idiota del mio brillante fratello, lui ha tutto e io niente e va bene così. Ha una bella moglie, una casa, figli e denaro, ha amici e fortuna, è intelligente e tutti lo amano, sa tutto di tutto e senza pregiudizi, mentre io non ho niente. Lui è buono, mi lascia vivere nel solaio, non mi fa pagare niente, tanto non avrei di come farlo. Qui sto benissimo, lui e sua moglie si occupano di me, il mio buon fratello Mateusz e la mia buona cognata Marta, Mateusz e Marta, il mio nome invece è Jan.

È stato sempre così, c’è stato sempre qualcuno che si occupava di me, perché io ho bisogno di attenzioni e non posso vivere senza che qualcuno si prenda cura di me, ho bisogno di affetto e, da quando è morta mamma, abito con Marta e Mateusz, qui sto bene e sono la persona più felice del mondo. Io non ho niente, ho solo le loro premure, ho loro, ma loro non sono miei, loro due non appartengono a nessuno, allora io non possiedo nemmeno loro due, mi limito a stare con loro e loro mi lasciano stare qui e forse non sanno che la mia esistenza è più semplice della loro, perché tanto non devo scegliere niente. Lo ha sempre fatto qualcun altro per me, almeno da quando ho dimostrato di non essere capace di farlo da solo. Vivo libero ben oltre la libertà, perché la libertà stessa è un dovere, perché bisogna essere liberi quando si vive e io sono vivo ma non devo essere libero, io sono solo me stesso, il fratello idiota, nel solaio del fratello intelligente. Libertà è uscire, è la manifestazione della propria persona oltre essa stessa, da qualche parte lì fuori. Ma io non devo manifestare niente, io sto benissimo chiuso dentro di me, che ci vadano gli altri fuori. Io guardo e basta. La vita, così strana la vita, ma in fondo per chi non è così.

***

Ora sono lì seduti in veranda, il sole sta tramontando ma loro non guardano il sole e non si stanno guardando e non si stanno parlando, è da un po’ che non si parlano, perché non hanno di che parlare, allora stanno lì seduti e basta, immobili come se non fossero più vivi, perché non è che siano proprio vivi, è da mesi che non lo sono più, da anni, sono solo seduti in veranda a bere vino, due divinità classiche, mio fratello e sua moglie.

La veranda è il binario della stazione in cui vivono, e io abito il solaio della stazione, sul binario ci sono fiori in grossi vasi, tra i blocchi di cemento cresce l’erba e nessuno se ne prende cura, allora l’erba è sempre più alta e fa il solletico ai piedi perché io cammino scalzo per il binario, perciò fa il solletico, ma ora sono nel mio solaio a guardare il binario, Marta e Mateusz, e il sole che tramonta dietro le montagne, perché qui intorno ci sono le montagne. Non ci abita nessuno in questa stazione, perché nelle stazioni non si abita, perché nelle stazioni ci abitano solo i senzatetto, che appunto non abitano niente, visto che sono senzatetto, dormono e basta, ma noi invece abitiamo qui, perché mio fratello intelligente ha comprato questa vecchia stazione e ha ordinato che i treni non ci passassero più, quindi è in macchina che si arriva fin qui o a piedi dai paesini vicini oltre le montagne.

La nostra stazione, cioè la stazione di Mateusz e di Marta, mica la mia, io non ho proprio niente, io non possiedo niente, e nemmeno questa stazione. È loro la stazione, loro la banchina, i binari ricoperti di erba, il grande giardino di Marta e il vecchio vagone lì in fondo, dove ora c’è la serra e si sente il profumo dei pomodori. Mi piace tanto il profumo dei pomodori perché mi ricorda l’infanzia, perché durante l’infanzia succede tutto per la prima volta e oggi invece si limita a tornare o a non tornare: ritornano i pomodori e il dolce del miele, e le frittelle di mele, e di patate, ma non ritornano solo cose da mangiare, perché ritornano anche cose da leggere, cose per dormire e cose da portare. Io ho avuto una bell’infanzia, mi amavano tutti, e poi sono diventato un idiota che ha bisogno di attenzioni, ma continuavano ad amarmi, proprio come da piccolo. È per questo che ora vivo questa continua infanzia, in cui tutto ritorna. Oppure non ritorna, perché mamma non tornerà e non ritorneranno i miei giocattoli, che ora sono nello scatolo in cantina e sono vecchi e stanchi. Una volta gli ho anche chiesto di venire a trovarmi, e me li sono portati qui nel mio solaio, ma non erano più gli stessi di prima. Non riuscivano più a giocare con me e neanch’io sapevo più come fare. Erano diventati un po’ strani, vecchi, persino il mio orsetto era diventato calvo. Allora li misi a dormire e li riportai in cantina, che restino a dormire, tanto io lo so che dormiranno perché non tutto può ritornare, neanche mamma tornerà, i miei giocattoli non torneranno più. Soltanto i pomodori ritornano sempre perché crescono nel vagone lì in fondo, sono tutti verdi e rossi e io adoro quando Marta ci fa la zuppa.

Una volta quell’odore mi ha fatto addormentare, proprio nel vagone, perché può capitare che l’odore dei pomodori faccia girare la testa, e mi hanno cercato tutti, ma io mica lo sapevo che mi stavano cercando, io stavo dormendo, e il fatto che tutti mi cercassero mi aveva fatto diventare triste, perché poi Mateusz mi disse che si erano spaventati, pensavano che fossi andato nel bosco e fossi morto. Ma io non ci sarei mai andato a morire nel bosco, che ci vado a fare nel bosco? Quando mi andrà di morire mi metterò nel mio letto e dirò a tutti che sto morendo e morirò. Prima però chiederò che mi portino la zuppa di pomodori, a me piace tantissimo la zuppa di pomodori. E io non ho paura della morte, ma della morte senza zuppa sì.

Si prendono così cura di me, si erano spaventati così tanto che potessi essere morto che hanno girato per il bosco con le lampade a cercarmi, Jan, Jan chiamavano, e io non sentivo niente perché dormivo nel vagone e dopo mi è dispiaciuto così tanto di essermi fatto cercare così.

Marta me l’ha detto che mi avevano chiamato, Jan, Jan, ché io stavo dormendo mentre mi chiamavano. Gli sono grato e mi sono detto che da lì in poi li avrei aiutati, per quel che posso. Ma come posso aiutarli, io non posso fare niente per loro, non si può dare niente a quelli che hanno già tutto. E ancor meno può dare chi non ha niente. Ma li aiuterò.

Sul muretto tinto di bianco anche se il colore è già vecchio e solo io lo so che era bianco, dove muoiono i binari e comincia il giardino, io ci metto su dei sassolini, scuri e chiari. È una delle poche cose che faccio fuori. Lo faccio solo quando mi annoio troppo dentro, senza uno scopo preciso. Marta e Mateusz mi osservano curiosi e cercano di indovinare il senso di questa cosa. Quei sassi loro li chiamano il limite e pensano che per me significhino qualcosa. Se un sassolino cade o si sposta loro lo sistemano, per non darmi noia. Aggiusta il limite di Jan, così dicono. Ma quel limite non è certo il mio, tutti i sassi sono della stazione, e la stazione è di Mateusz e Marta, quindi io non faccio altro che spostare roba loro. E sto attento a non portare fuori dalla stazione niente che sia di dentro, né dentro la stazione niente che venga da fuori. Forse solo la spesa o le more che crescono nel bosco dall’altra parte dei binari, che sono già finite.

Mettere i sassolini come lo faccio io non è di certo un aiuto, mi è venuto in mente di farlo una volta, neanch’io so perché. E Marta ha detto a Mateusz che sicuramente era stato Jan, e Mateusz a Marta che di sicuro l’avevo fatto per non far cadere nessuno. Mi ha fatto piacere sapere che in quella cosa dei sassi loro ci avessero trovato un senso, perché per me non ne aveva nessuno, ma siccome loro ce l’hanno trovato, allora posso trovarcelo anch’io. Ma forse questa cosa non conta come aiuto, tanto io l’ho fatto senza motivo.

 

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