Meglio precisarlo subito e senza il timore di sbilanciarsi in giudizi affrettati: siamo in presenza di un capolavoro. Tuttavia, ‘Senza dimenticare nulla‘ (Medaliony, il titolo originale polacco) è un un’opera dura, a volte urticante, la cui lettura non può non suscitare reazioni, inclusa quella di chiudere il libro dopo poche pagine e accantonarlo. Un’azione troppo impulsiva che sarebbe però comprensibile alla luce delle immagini forti descritte all’inizio del testo.
Lo stile diretto ed essenziale di Zofia Nałkowska è meno analitico e respingente di quello di un’altra grande narratrice polacca dell’Olocausto come Hanna Krall, ma in principio può risultare altrettanto impegnativo per il lettore. Queste sono pagine che richiedono una risposta emotiva, un’indignazione, un senso ora di sconfinata ammirazione ora di profonda vergogna per il prossimo. E può capitare di farsi cogliere impreparati. Di sicuro non è concepibile restare insensibili dinnanzi a un libro del genere capace di condensare in una cinquantina di pagine colme di significato il dramma di milioni di vittime, dei loro carnefici e di chi è rimasto a guardare.
A metà strada fra Hanna Krall e Hannah Arendt, questo fondamentale libricino anticipa di diciassette anni il tema della banalità del male reso celebre dalla storica e filosofa tedesca. Scritto nel ’45 e pubblicato nel ’46 quando gli orrori perpetrati ai danni degli ebrei polacchi durante la Seconda Guerra Mondiale erano ancora troppo freschi per essere già definiti ricordi, il libro è una pietra miliare anzi una delle architravi stesse della letteratura mondiale sull’Olocausto.
Perché leggerlo oggi
‘Senza dimenticare nulla’ riunisce sette testimonianze raccolte da Nałkowska durante il suo lavoro all’interno della Commissione centrale d’inchiesta sui crimini tedeschi in Polonia. Sette drammatiche esperienze personali narrate senza fronzoli e alcuna omissione grazie alle quali è possibile immedesimarsi in diverse sfaccettature di un trauma collettivo. E se l’incipit de ‘Il professor Spanner’ è una micidiale gragnola di pugni nello stomaco, diviene indispensabile farsi forza e resistere, assorbire l’orrore delle immagini senza lasciarsene travolgere e allontanare. Un consiglio valido anche per i successivi episodi che, tuttavia, offrono inattesi scorci di speranza al lettore, pur in un quadro che resta – e non potrebbe essere altrimenti – a tinte assai fosche.
L’atroce ma altrettanto poetico ‘Presso la strada ferrata’, ad esempio, descrive con grande efficacia lo spaesamento e il conflitto interiore dei civili catapultati loro malgrado in un dramma che diviene impossibile ignorare. Una situazione spietata che mette di fronte innocenti ad altri innocenti, mentre i veri colpevoli restano sottintesi, sullo sfondo. Spiccano inoltre due racconti come ‘Dwojra Zielona‘ e ‘L’uomo è forte‘ con quest’ultimo che ricostruisce in maniera nitida e feroce l’inferno del campo di sterminio di Chełmno mascherato dai nazisti in centro termale e dove, al pari di Treblinka, chi arrivava veniva immediatamente ucciso.
A concludere questa breve raccolta densissima di significati è ‘I ragazzi di Oświęcim‘, un breve saggio finale dell’autrice che cerca di tirare le fila del suo prezioso ma ingrato lavoro di intervistatrice ricostruendo le motivazioni economiche alla base dell’industria nazista dell’Olocausto. Si tratta di un’analisi lucida, precisa, spietata. Tanto più se si pensa al fatto che Nałkowska sia stata in grado di farla quando i corpi dei sommersi erano ancora visibili e le voci dei salvati prive di alcun distacco emotivo, inclini a indugiare sui particolari più che a tentare di descrivere un quadro complessivo.
«La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace» avrebbe scritto Primo Levi quasi quarant’anni più tardi nel rievocare la propria e le altrui esperienze nei campi di concentramento nazisti. Proprio per scongiurare il rischio che le memorie dirette di chi ha vissuto sulla propria pelle le atrocità avvenute in tempo di guerra si annacquino o perdano contorni precisi con lo scorrere inesorabile delle stagioni, Zofia Nałkowska ha colto l’urgenza del momento.
Come rivela Dwojra Zielona, una reduce di ghetti, rastrellamenti e campi di concentramento scovata dall’autrice in un cortile praghese della Varsavia post-bellica: «Volevo ancora vivere (…) Perché? Glielo dico io perché: per poter raccontare un giorno tutte queste cose, proprio come sto facendo adesso. Il mondo deve sapere quello che hanno fatto».
‘Senza dimenticare nulla’ assolve proprio questo compito, questa necessità impellente. E lo fa adoperando spesso uno stile ancora oggi attuale, quello dell’intervista in cui chi pone le domande scompare del tutto dal testo lasciando spazio solo alla voce di chi ha qualcosa da raccontare in prima persona. Una tecnica efficace della quale una grande giornalista come la premio Nobel per la Letteratura 2015, Svetlana Aleksevic, appare debitrice.
Un’opera da ricordare e riproporre
In Polonia, ‘Medaliony’ è un classico al pari degli scritti sul delicato tema dei campi di concentramento nazisti (e sovietici) di autori come la stessa Hanna Krall, Tadeusz Borowski e Gustaw Herling-Grudziński. Basta entrare in qualunque libreria o biblioteca polacca per trovare numerose edizioni di quest’opera, comprese quelle didattiche. Il libro è infatti ancora oggi letto in molte scuole della Polonia, anche se talvolta gli è preferito un’altra opera di Nałkowska, il romanzo ‘Granica’ (La frontiera).
Negli anni, inoltre, ‘Medaliony’ ha ricevuto apprezzamenti di grandi autori polacchi come Witold Gombrowicz e Ryszard Kapusciński con quest’ultimo che lo ha definito «l’unico libro di cui mi fido». Un commento che evidenzia anche l’influenza indiretta avuta da quest’opera nella nascita dello stile tipico della grande scuola del reportage polacco, basato su una narrazione asciutta, priva di compromessi e dal grande impatto emotivo. Eppure si sono dovuti attendere cinquantatré anni per fare sì che il libro di Nałkowska uscisse in inglese, per i tipi dell’americana Northwestern University Press e la traduzione di Diana Kuprel senza stravolgere il titolo originale, divenuto ‘Medallions‘, medaglioni.
Così come sorprende che oggi l’unica edizione italiana ancora reperibile di quest’opera fondamentale sia quella pubblicata nel 2006 dall’editore partenopeo L’ancora del Mediterraneo. Una casa editrice fondata nel ’99 e la cui esperienza è purtroppo già terminata che ha avuto il merito di fare conoscere al pubblico italiano anche numerosi scritti da noi meno noti di Gustaw Herling-Grudziński (del quale ci ripromettiamo di scrivere presto).
L’eccellente edizione di ‘Senza dimenticare nulla’ si avvale della storica traduzione di Bruno Meriggi, risalente a metà anni ’50, ed è curata da Giulia De Biase. In attesa di una nuova occasione editoriale per il capolavoro di Zofia Nałkowska, il consiglio è quello di cercarlo e leggerlo ora: per ricordare tutto.
PoloniCult consiglia:
Senza dimenticare nulla di Zofia Nałkowska
Medallions di Zofia Nałkowska (la versione in inglese a cura di Diana Kuprel)