Apologia di un classico: Bolesław Prus – La bambola

Prus
 
 
di Lorenzo Berardi

Ci sono libri che pagano colpe non imputabili ai loro autori. In Italia, ‘I promessi sposi’ di Alessandro Manzoni è un perfetto esempio di romanzo tollerato a stento da generazioni intere per via della sua inclusione come lettura obbligatoria a prescindere nei programmi della scuola dell’obbligo.

Il risultato è che pochissimi lettori italiani scelgono di riprendere in mano le vicende di Renzo e Lucia per soddisfare la propria curiosità negli anni successivi alla maturità. Per non parlare del colpo mortifero postumo assestato al povero Manzoni, guadagnatosi la reputazione di ‘autore pesante’ e le cui tragedie e poemetti godono oggi di assai modesto successo.

Un fenomeno simile è accaduto in Polonia con Bolesław Prus, scrittore di fine Ottocento noto ai più come l’autore di due opere ‘suggerite’ a milioni di studenti polacchi dal Dopoguerra a oggi: ‘Il Faraone‘ (Faraon) e ‘La Bambola‘ (Lalka). Uomo di lettere assai più prolifico di Manzoni, Prus – il cui vero nome era Aleksander Głowacki – ha scritto sette romanzi (più uno rimasto incompiuto) e pubblicato decine e decine di storie brevi.

Tuttavia è difficile che oggi qualcuno in Polonia si ricordi di opere come ‘Emancypatki’ (Le emancipate) o ‘Placówka’ (L’avamposto). E questo nonostante il successo con cui entrambi i romanzi furono accolti in patria e l’importanza dei temi trattati, rispettivamente femminismo e patriottismo, descritti in uno stile realista all’avanguardia per l’epoca.

Di migliori seppur calanti fortune gode oggi ‘Il Faraone’ un romanzo storico che descrive i subdoli ma affascinanti meccanismi del potere alla corte di Ramses d’Egitto. In questo senso, il libro può essere accomunato a ‘Quo Vadis‘ di Sienkiewicz – pubblicato appena due anni prima – ma presenta anche punti di contatto con ‘Cesarz‘ (Il negus), reportage sui generis di Kapuściński dedicato all’imperatore d’Etiopia, Haile Selassie.

Parte del successo ottenuto da questo romanzo deriva anche da una fortunata trasposizione cinematografica firmata da Jerzy Kawalerowicz e inclusa nella cinquina di film selezionati per l’Oscar come possibile miglior film straniero nel ’66.

 Un classico da non sottovalutare

Anche ‘Lalka’ (La bambola), il secondo romanzo più celebre di Prus, è approdato sul grande schermo, addirittura in due occasioni: nel ’68, per la regia di Wojciech Jerzy Has, e dieci anni più tardi in una pellicola diretta da Ryszard Ber.

Considerato dal poeta e Nobel per la Letteratura Czesław Miłosz come «il migliore romanzo polacco di sempre», ‘La bambola’ sconta tuttavia due sfortune: un titolo obiettivamente infelice e l’inclusione fra le letture obbligatorie o semi-obbligatorie della scuola polacca. La scelta del titolo suggerisce ai lettori in cerca d’evasione un romanzetto piccante d’appendice (tradendone le attese), mentre la stessa errata supposizione può scoraggiare in partenza gli amanti dei classici.

Nel caso di questo libro, perdipiù, chiedere lumi agli amici polacchi può essere controproducente in quanto pochi di loro ne loderanno i meriti, per gli stessi motivi per cui un odierno lettore italiano è restio a consigliare ‘I promessi sposi’ a conoscenti stranieri.

Inutile girarci intorno, ‘La bambola’ è un romanzo della sua epoca e come tale va inquadrato. Tuttavia, battezzare questo libro come noioso, demodè o prolisso sarebbe un grave errore.

La trama in poche righe

PrusLa bambola‘ offre un impareggiabile affresco di Varsavia e più in generale della Polonia di fine Ottocento. Anzi, per essere ancora più precisi dei trent’anni compresi fra il 1848 e il 1878. Attraverso le vicende del protagonista, Stanisław Wokulski – nobiluccio decaduto, ex cameriere, patriota e self made man borghese dalle aspirazioni aristocratiche – il lettore è immerso in un affascinante spaccato varsaviano cosmopolita. Un mondo popolato da squattrinati studenti socialisti, commercianti di Krakowskie Przedmieście, scienziati dilettanti, giovani madri single, paranoiche baronesse e speculatori di ogni tipo. Una realtà variegata in cui prosperano gli arrampicatori sociali e un’aristocrazia intorpidita sta lasciando il posto a una borghesia rampante a sua volta incapace di cogliere i cambiamenti in atto. Una Varsavia in evoluzione dove, tuttavia, i ruoli sociali restano ancora ben definiti e nella quale, purtroppo, le donne sono ancora costrette al ruolo di lavoratrici sottopagate o di civettuola tappezzeria.

E proprio di una di queste bellezze da salotto, Izabela Łęcka, il quarantenne vedovo Wokulski si invaghisce. Una passione irrazionale ed eccessiva che porta l’innamorato a idealizzare oltremodo la sua bella, cadendo vittima di travagli interiori, folli gelosie e repentine disillusioni. Izabela – ‘la bambola’ del titolo – dal canto suo mantiene un atteggiamento ambivalente nei confronti di Wokulski. Da un lato è innegabile che ricevere attenzioni maschili la lusinghi, dall’altro è evidente come la donna non abbia voglia di prendere decisioni e attenda quasi annoiata l’evolversi degli eventi pur ritenendo il proprio status sociale superiore a quello del suo spasimante. Un atteggiamento passivo che Wokulski, inebriato da un romanticismo masochista, scambia per volubilità caratteriale e certo non allevia i suoi tormenti d’amore.

Perché leggerlo

Riassunto così, il canovaccio del libro non farebbe altro che confermare l’ammiccamento del titolo, ma in realtà ‘La bambola‘ è un romanzo di grande respiro storico, con un ampio e funzionale cast di personaggi secondari e richiami alla letteratura francese di Émile Zola a Gustave Flaubert. Alcune scene intrise di povertà, invidia e taccagneria in un casamento varsaviano sono debitrici del naturalismo dell’autore di ‘Teresa Raquin‘ e ‘Il ventre di Parigi‘. Meno marcate, invece, le similitudini con Flaubert, la cui Emma Bovary resta una donna dalla personalità assai più complessa rispetto alla viziata e insicura Izabela Łęcka.

Chi ha amato un’altra epopea varsaviana come ‘La famiglia Moskat’ di Isaac Bashevis Singer, capace di fotografare la vita nella capitale polacca fra fine Ottocento e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, scoprirà che il libro di Prus termina all’incirca dove comincia quello di Singer. È vero che la Varsavia dei Moskat è essenzialmente ebraica, mentre quella de ‘La Bambola’ è gentile e quindi cattolica, ma i punti di contatto non mancano. E purtroppo entrambe le incarnazioni su carta delle capitale polacca narrate da Prus e da Singer appartengono a un passato spazzato via senza alcun riguardo dagli eventi della storia recente.

Prus mostra una grande abilità nel mettere in scena affettati dialoghi e situazioni mondane evidenziandone spesso l’ironia o l’assurdità. Una capacità rara di concentrarsi su minuti particolari resa ancora più sorprendente dal fatto che lo scrittore soffriva di un’acuta agorafobia ed era quindi autoescluso dagli eventi del bel mondo. Ecco perché per colui che il critico letterario Stanisław Barańczak definisce nell’introduzione dell’edizione americana di ‘Lalka’ come «il più grande scrittore realista della letteratura polacca» sembra giunto il momento di prendersi qualche rivincita.

Dove trovarlo in italiano e in inglese

Tradotto in diciassette lingue e con una splendida edizione americana uscita nel 2011 fra i classici della prestigiosaPrus New York Review Books per la traduzione di David Welsh, ‘Lalka’ non ha mai goduto di grande fortuna in Italia. Nei primi anni ’60 il romanzo venne pubblicato in tre parti dalle cattolicissime Edizioni Paoline tradotto da Aurora Beniamino e all’interno di una serie dall’infelice nome di ‘Incontri di cuore’ (sic!). Nel ’62 e nel ’65 il medesimo editore ripubblicò il libro in un unico volume in brossura con un’illustrazione in copertina che sembra un ritratto di due bionde bellezze dell’epoca come Virna Lisi e Catherine Deneuve. Un’esca bella e buona, ma che pochi evidentemente colsero. Sembra incredibile, infatti, ma a cinquantuno anni di distanza non esistono altre edizioni italiane del classico di Prus: qualcuno si affretti a porvi rimedio.

 

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