Gli anni Trenta per la musica polacca.

Fogg Anni Trenta PoloniCult 1

A ritmo di tango e milonga la Polonia borghese apriva club per il cabaret, ballava spensierata su note gioiose e si innamorava su melodie malinconiche più o meno ignara della tragedia montante.

di Salvatore Greco
 

L’Europa tutta, e non solo la Polonia, negli anni Trenta doveva somigliare molto all’ultimo atto del famoso dramma Wesele (Le nozze) di Wyspiański dove una danza surreale e macabra, abitata da uomini, fantasmi e simboli continua mentre fuori il mondo incombe, persino minaccioso.
Allo stesso modo il mondo reale dove, mentre i governi silenziosamente si armavano, da entrambe le parti dell’oceano atlantico cresceva la passione per il tennis, in America si ballava il Charleston e in Polonia impazzava la moda dei locali di cabaret per gentiluomini dell’alta borghesia dove ci si dedicava al calembour letterario e fiorivano orchestrine -che poi avrebbero portato alla nascita del jazz polacco– che mettevano in scena la leggerezza incantata degli anni tra le guerre, la joy de vivre -col senno di poi, tragica- degli anni Trenta.

Nelle storie della letteratura polacca, quando si parla di anni Venti e anni Trenta, si usa una categorizzazione ben precisa, quella di periodo międzywojenny, letteralmente “interbellico” e il motivo è che quel ventennio lungo -quello tra il 1918 e il 1939- fu davvero unico per la storia polacca in termini di vitalità culturale. Furono anni di relativa pace in cui la letteratura sentì finalmente la possibilità di “liberarsi” dall’impegno sociale e potersi dedicare a un principio di ars gratia artis fino ad allora quasi inesistente. Per le altre arti non fu diverso, specialmente per la musica popolare furono letteralmente anni ruggenti. Dal momento che l’ingresso prorompente delle masse nella Storia lo permise, si sviluppava  in una forma più stanziata e meno folcloristica, ad esempio, il genere klezmer dando una dignità, per così dire, urbana e mondana a un genere fino ad allora retaggio della tradizione ebraica degli shtetl.
E inoltre fiorivano i club più o meno esclusivi dove gli artisti potevano esibirsi, che fossero poeti prestati al cabaret, cantanti improvvisati o professionisti, piccoli gruppi di musicisti.
Proprio in questi anni conosce il suo periodo più fiorente il famosissimo club cracoviano Jama Michalika, oggi delizioso ed elegante ristorantino, ma che negli anni Trenta era un vero e proprio ritrovo “segreto” degli intellettuali cittadini che si riunivano per bere un bicchiere e darsi allo spettacolo più rilassato.

In questo contesto culturale, seppure inficiato da segnali sinistri che non sfuggirono agli intellettuali più attenti come il poeta Julian Tuwim che divenne presto molto cupo (e a ragione), fioccava il gusto per questa musica leggera, da club, dove anche i più classici strumenti da orchestra potevano prestarsi a ritmi più semplici, brevi, popolari e -perch no- ballabili. In breve la scena dei cabaret cracoviani e varsaviani (ma non solo) fu dominata da giovanotti dalla bella voce accompagnati da musicisti che poi avrebbero aperto la strada al jazz più elaborato:

Il caso di Eugeniusz Bodo, che qui canta una canzonetta romantica dal titolo “Ja mam czas, ja poczekam” (Ho tempo, aspetterò) su una base musicale che va a ritmo di tango e si presta anche a leggere influenze orientali e arabeggianti, è una delle storie più peculiari di questo mondo che oggi raccontiamo.
Bodo, nato a Ginevra da un benestante svizzero e da una donna della piccola nobiltà polacca, fu un protagonista assoluto degli anni Trenta oltre che -ovviamente- come cantante anche in qualità di ballerino, attore di teatro e di cinema. Visse al massimo quegli anni tra auto roboanti, grandissima fama e molto denaro. Tenne segreto per tantissimi anni il fatto di aver mantenuto la cittadinanza svizzera pur vivendo in Polonia e poi sperò di potere utilizzare la cosa per espatriare verso gli Stati Uniti durante la guerra, senza tuttavia riuscirci. Arrestato dall’NKVD, la polizia militare di Stalin, fu processato e imprigionato come individuo socialmente pericoloso per poi morire in un lager sovietico nel 1944, conoscendo una fine particolarmente triste ma peculiare di come si stravolse il mondo della Polonia allegra e benestante in quegli anni, letteralmente dalle stelle alle stalle.

Quest’altro tango, molto più lirico e malinconico, e registrato su un meraviglioso e frusciante vinile d’epoca presenta un’altra delle grandi voci dell’epoca: Janusz Popławski. Per lui una vita più ordinata di quella di Bodo, Popławski infatti si fece strada come tenore nell’opera e poi nell’operetta, iniziò a prestare la sua voce alla canzone “da bar” solo più tardi e mantenendo uno stile di vita più pacato, cosa che probabilmente fu utile per sopravvivere alla guerra e alla furia dell’NKVD contro i ricchi disturbatori della quiete pubblica. Morì di morte naturale a Gliwice nel 1971 e ancora oggi la sua interpretazione di classici come złociste chryzantemy è la più nota e ascoltata quando si parla di musica degli anni Trenta tra festival, radio e programmi televisivi.

Chiudiamo il nostro percorsocon il più famoso rappresentante della stagione della canzone degli anni Trenta, un’autentica icona di quei tempi e non solo: Miecyzsław Fogg, nato Fogiel, varsaviano e baritono, non necessariamente in quest’ordine.
Portò a fama pressoché eterna il tango straziante e malinconico -chissà, forse anche presago di un futuro drammatico- “to ostatnia niedziela” (questa è l’ultima domenica). Nessun polacco con più di quarant’anni ignora chi sia questo personaggio, pari come peso in Polonia -sebbene con un ruolo diverso- a Fred Astaire o Frank Sinatra.

Nonostante fosse un “eroe” già negli anni Trenta, in realtà Fogg divenne famoso in maniera capillare solo dopo la guerra quando la sua figura divenne quasi mitica: iniziò a fare tourneé in giro per il mondo, nei luoghi dell’emigrazione polacca e non solo, vinse premi a dozzine, aprì persino un locale a Varsavia che portava il suo nome -il cafè Fogg- e una casa discografica che però fu nazionalizzata quando fu istituito il socialismo e fallì poco dopo.

La fama di Fogg, morto a Varsavia nel 1990, è patrimonio delle vecchie generazioni, certo, ma sta conoscendo nuova vita grazie alle iniziative di rievocazione della vita pubblica nella Polonia degli anni Trenta (periodo amato e studiato da molti) e grazie alla curiosità artistica di esponenti del mondo musicale contemporaneo che ha portato anche a una (improbabile) cover acid-reggae di To ostatnia niedziela.

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