Almanacco degli accidenti di Stefan Agopian

Almanacco degli accidenti

Con Almanacco degli accidenti ESTensioni fa tappa a Bucarest, in un curioso romanzo fatto di racconti.

di Chiara Condò.

Questo smilzo libretto propone già dall’inizio un problema intrigante.

Il titolo originale, Manual întâmplărilor, “suggerisce l’idea di un trattato, di un catalogo di cose conosciute e prevedibili, (ma) la parola ‘întâmplări’include […] qualcosa che, dipendendo dalla sorte, è assolutamente imprevedibile”. Paola Polito, traduttrice del romanzo, introduce così non solo un primo problema di resa dal romeno, ma anche l’essenza stessa del libro, fatto di contraddizioni, ambiguità e apparenti incongruenze.

Almanacco degli accidenti PoloniCultPubblicato per la prima volta in Italia dalla pisana Felici Editore, Ştefan Agopian è un autore singolare e, come sottolinea Bruno Mazzoni nella sua postfazione, di difficile collocazione, scomodo anche nella sua etichetta di ‘antirealista’. Il debutto come poeta dà l’imprinting  alla sua produzione, già estremamente provocatoria nei confronti di un sottotesto tanto vario quanto abbondante. Confluiscono infatti nel testo non solo la Bibbia, ma anche le pietre miliari della letteratura romena ed europea, nelle sembianze e vicende di personaggi che contengono confusamente mille culture e nozioni diverse. Ma la critica di Agopian si rivolge ovviamente al regime comunista che, ancora al tempo della (sofferta) pubblicazione del libro, imponeva agli scrittori un realismo scarno e monotono, al riparo dalla pericolosità della fiction. La stessa atmosfera politica e sociale viene ribadita dallo scenario del testo, vuoto e sempre uguale, in cui le stagioni si alternano senza fare scalpore e dando al lettore l’impressione che i pigrissimi personaggi non si muovano mai dallo stesso cerchio di alberi.

Ambientati nell’ottocento romeno, i sei racconti che compongono il romanzo hanno come protagonisti Ioan Marin, un maestro geografo, e Zadic l’Armeno, un factotum sui generis, esperto in mille mestieri (letteralmente) quali, per esempio, “sorbettiere, istruttore militare, boia, cristiano”. Presentazioni altisonanti per un paio di vagabondi lerci, allucinati e stremati dalla fame, che attraversano come in un sogno le avventure più curiose e inverosimili. E tuttavia lo stile barocco di Agopian imbastisce sì una serie di parabole surreali, ma tutte  scorrevoli e coerenti con i discorsiAlmanacco degli accidenti che i protagonisti portano avanti; tra botte, canti e bevute con i ‘cacodemoni’, il mondo di  Agopian basta a se stesso, perché dotato di una meccanica propria che lo tiene al riparo dalle domande che lo destrutturerebbero. Alla luce di queste riflessioni il titolo definisce sempre di più l’intento dello scrittore, che spesso sembra parlare attraverso il complicato filosofare del Geografo. Gli “accidenti” di cui il mondo è composto sono necessari al suo equilibrio e, come scrive ancora la Polito, è “come se, scrivendo questo “manuale degli eventi”, un manuale volto ad aiutarci a interpretare e a fronteggiare gli imprevisti della vita, l’autore volesse mostrarne al contrario l’impossibilità”, senza però rinunciare alla spensieratezza.
Lungo i sei racconti, Zadic e Ioan si risveglieranno sempre da una sbornia, e tuttavia all’interno del romanzo il risveglio non rappresenta mai una linea netta di separazione tra la realtà e il sogno, perché ogni dimensione sperimentata è una favola. Così la folla di personaggi irreali che li circonda è una serie variopinta di figure mitiche; animali parlanti e angeli  non si allontanano mai  dai due e li accompagnano quasi a spintoni verso l’ultimo racconto, “Lazzaretto” e l’ultima, definitiva presa di coscienza prima della catarsi: “Bré, sappi che, se ci succedono tutte queste cose, siamo morti e non lo sappiamo”.

Questo articolo è uscito anche su Quaderni slavi.

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