Solidali, antirazzisti, popolari e “cattivi”: all’AKS Zły azionariato popolare e filosofia aperta sfidano il calcio moderno.
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di Salvatore Greco e Lorenzo Berardi
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È un soleggiato sabato di metà agosto e alla Don Pedro Arena di via Kawęczyńska c’è il pubblico delle grandi occasioni. A mezz’ora dall’inizio della partita valida per un turno preliminare di Coppa di Polonia, i duecento biglietti stampati per l’esordio stagionale della squadra di casa sono già terminati. Gli spalti del piccolo stadio sono gremiti di un pubblico di tutte le età. Ci troviamo a Varsavia, sulla sponda orientale della Vistola, nell’ex quartiere operaio di Praga. È in questo campo di periferia dalla tribuna orgogliosamente scoperta, incastonato fra casamenti popolari e una fabbrica abbandonata, che gioca l’AKS Zły.
Primo tempo
La Don Pedro Arena si trova a un paio di chilometri in linea d’aria dallo Stadio Nazionale di Varsavia. L’11 novembre del 2017, sessantamila polacchi sono confluiti nel piazzale antistante l’arena per celebrare il giorno dell’indipendenza. Migliaia di loro lo hanno fatto marciando dietro a vessilli di formazioni di estrema destra di tutta Europa (da Forza Nuova a Jobbik) ed esibendo slogan e striscioni anti-immigrati. Una prova di forza dei nazionalisti locali, fautori di una Polonia bianca, cattolica, anti LGBT e ostile all’integrazione.
Il Club Sportivo Alternativo Zły (‘Cattivo’) è quanto di più lontano si possa immaginare da questo tipo di retorica. «La nostra storia inizia nell’agosto del 2015 – racconta Dominik detto ‘Ariel’, figura storica del club presente in tribuna – con venti appassionati tifosi determinati a creare un proprio club indipendente. Siamo andati in Germania per incontrare i fondatori del Falke 05, ex-tifosi dell’Amburgo, abbiamo raccolto spunti e siamo tornati qui».
Bisogna creare due squadre e ai provini si presentano sessanta calciatori e trenta calciatrici. Valutata la fattibilità finanziaria, i fondatori iscrivono l’undici maschile e quello femminile a federazione e campionati. «Siamo partiti da zero – ricorda Ariel – e ora vediamo che il club funziona generando buon calcio e processi sociali interessanti, come dimostra il pubblico di oggi».
Il quartiere di Praga viene scelto perché i due grossi club di Varsavia – Legia e Polonia – hanno sede dall’altra parte della Vistola, ma anche perché alcuni dei fondatori vivono qui. «Volevamo che il nostro fosse un club con una specificità locale e Praga era adatta, anche per la sua interessante composizione sociale», aggiunge Ariel sottolineando che «siamo un’associazione di più di cento persone con quaranta membri molto attivi e amministriamo il club tutti assieme. C’è chi si occupa delle squadre, chi del marketing, chi dell’organizzazione, chi della comunicazione, chi della parte finanziaria».
Intervallo
L’aspetto economico è fondamentale per un club autofinanziato e che ha un budget di 8000 zloty (2000 €) al mese per l’affitto dei campi e la registrazione delle squadre. I pilastri finanziari sono tre. Innanzitutto una quota mensile di circa 5 € a testa pagata dai soci e poi la vendita dei biglietti anche se, precisa Ariel: «i bambini e chi non se lo può permettere entrano gratis». Infine, gli sponsor: si punta ad averne undici, come i giocatori che scendono in campo, per ora ce ne sono sei o sette. A coprire il resto ci pensano crowdfunding ed eventi.
L’atmosfera sugli spalti della Don Pedro Arena è molto diversa da quella tipica di altri stadi. Una delle regole del club è il divieto di imprecare per i maggiori di quattro anni. Forse anche per questo qui spiccano bambini, famiglie, persone di mezza età, e in mezzo a tutti un gruppo di tifosi più caloroso che canta cori e sventola le bandiere della squadra. «Lo Zły ha un’identità locale per accattivarsi la simpatia del quartiere, ma appartiene all’intera città – racconta uno di loro, Mariusz, giovane tifoso del quartiere popolare di Targówek – Io tifo per un grande club, ma sostengo anche questa squadra di ottava categoria sin dal primo giorno, perché ne condivido i valori».
Poco lontano siede Michał assieme alla moglie Agnieszka e al figlio di un anno e mezzo: «Veniamo da fuori Varsavia e siamo qui per la prima volta. Alcuni amici mi hanno parlato di questa squadra, dei suoi valori e abbiamo deciso di venire. Mi piace il calcio, ma odio il clima che lo circonda. Qui ci sentiamo a nostro agio. Di certo non porterei mio figlio così tranquillamente in altri stadi. Sarà un piacere tornare».
Il modo in cui l’AKS Zły raggiunge sostenitori lontani dal proprio bacino locale dipende molto dalla forza innovativa del messaggio, ma anche dalla capacità di fare comunicazione e trovare sostegno trasversale. «Amo il calcio, ma purtroppo in Polonia è in mano all’estrema destra con gran parte del tifo organizzato delle squadre principali che si riflette in questa ideologia. – racconta Janek, addetto stampa e calciatore del club – Zły è una squadra aperta a tutti. Non abbiamo un proprietario ma un’assemblea democratica. Crediamo in democrazia interna, multiculturalismo, uguaglianza di diritti fra uomini e donne. Vogliamo giocare e avere sede qui, in un quartiere spesso dimenticato e nel quale vivono molte persone povere, perché il club vuole dare loro qualcosa di bello e importante in cui riconoscersi».
Secondo tempo
Antonio Shehadee allena la squadra maschile. Trentenne, israeliano di fede cristiana, è sposato da poco e lavora in una multinazionale. È arrivato in Polonia nel 2008 già in possesso di un patentino UEFA B da allenatore conseguito in madrepatria dopo avere sconfitto la leucemia che ne ha fermato anzitempo la carriera di calciatore. Nella capitale polacca, Antonio inizia allenando il Makabi Warszawa, squadra amatoriale erede di un club sportivo ebraico d’anteguerra. Poi nell’ottobre 2015 un amico gli parla del neonato Zły e scocca la scintilla che lo porta a cambiare casacca. «Questo club è aperto a tutti. Non importa da dove si provenga, quale credo politico o religioso si abbia o per chi si faccia il tifo», sottolinea con orgoglio.
Il calcio per Antonio è una passione di famiglia. Suo fratello Elias è stato il goleador dello Zły nella stagione passata e adesso gioca in un club di sesta serie, mentre i suoi genitori gestiscono una scuola calcio a Ma’alot-Tarshiha, in Israele. La squadra di mister Shehadee adotta il 4-1-4-1 e il suo allenatore vuole raggiungere quella promozione mancata per soli 3 punti nell’ultimo campionato. Pur condividendo i valori di inclusione e fair play alla base dello Zły, Antonio non ci sta a fare passare i suoi giocatori per agnellini: «possiamo sembrare persone ammodo, ma qualche cartellino giallo a partita lo prendiamo. Però ciò che accade sul campo deve restarci».
Una visione condivisa da Danuta ‘Ruda’ (Rossa) Wojciechowska, titolare di un negozio di alimentari e allenatrice-giocatrice delle złe dziewczyny (cattive ragazze), la squadra femminile. «Il mio ruolo in campo dipende di volta in volta. Quando manca una calciatrice entro io, – ride – ma se devo scegliere dove giocare, allora preferisco farlo in difesa». Lo Zły è la seconda squadra della carriera di Danuta che prima militava in una serie superiore ma, ricorda, «quando mi hanno offerto il posto da allenatrice sono venuta qui». E sulle difficoltà di ottenere una parità di trattamento ha le idee chiare: «Il calcio femminile è in secondo piano, ma allo Zły siamo trattate alla pari. Il clima è amichevole, si sta bene e noi cerchiamo di lavorare con serietà, ma anche con il sorriso».
Tempi supplementari
Il racconto del campo è la voce più sincera dello Zły. Anche in un club così distante dalla cultura della sopraffazione, tutto ritorna a scarpini e calzettoni. «La squadra è in ottava serie, ma io la tratto con serietà e chiedo molto impegno ai miei giocatori. Voglio vedere lupi affamati sul campo che lottano su ogni pallone», sottolinea Antonio.
È calcio vero, insomma, anche se alternativo e alla fine conta il risultato, sulle gambe e nella testa di uomini che giocano a calcio a compendio di una vita che si svolge altrove. Sono i volti di Giorgi Komoshvili, georgiano, esterno destro dello Zły e traduttore, ma anche di studenti, impiegati, musicisti d’orchestra, tipografi. Fra gli stranieri vi sono anche l’attaccante nigeriano Saheed Adeshina, due tedeschi e due vietnamiti di seconda generazione, il terzino Henryk Nguyen e l’ala Duc Minh Pham. Le donne allenate da Danuta, invece, sono studentesse, madri di famiglia, persino una neo nonna. E fra le lingue parlate, oltre al polacco, fanno capolino il bielorusso, l’italiano di Susi e anche la lingua dei segni in quota a due nuove arrivate.
Magda, ha 25 anni, è il portiere dello Zły e riassume così lo spirito del club: «Se parli polacco, bene, sennò facciamo in inglese. Se vuoi giocare sei la benvenuta, non importa se sei religiosa o atea, se hai figli oppure no. Conta solo il calcio. Non facciamo test d’ingresso, basta che non si sia estremisti violenti. Certo, qualcuna di noi può avere idee radicali, ma l’importante resta giocare assieme per vincere e divertirsi. C’è una bella atmosfera anche quando andiamo in trasferta – aggiunge – Abbiamo un vistoso minibus dorato, con una Madonna sul retro, molto buffo da vedere. Mostra in modo ideale la nostra diversità».
Calci di rigore
L’obiettivo per questa stagione dell’AKS Zły è la promozione sia del team maschile che di quello femminile. Aspettativa ragionevole all’inizio dei rispettivi campionati visto che entrambe le squadre hanno sfiorato il salto di categoria lo scorso anno. A sei partite dal termine del campionato, le ragazze sono terze in classifica con otto vittorie su dodici partite disputate e in piena lotta per la promozione nonostante una differenza reti poco favorevole nei confronti di chi le precede di appena 4 lunghezze. Discorso più complicato per la squadra maschile che ha cambiato numerosi giocatori nell’arco della stagione e, a nove turni dalla fine, è quinta a 10 punti dalla zona promozione.
«Conta solo il calcio» è un mantra che allo Zły ripetono spesso, perché il rischio di essere equivocati è forte. L’esistenza di un club con valori di accoglienza, diversità, gestione collettiva e tifo solidale può fare passare il messaggio che l’AKS sia una sorta di Harlem Globetrotters del calcio sano. Tuttavia atleti, tifosi e dirigenti dello Zły lo sport lo prendono sul serio e sanno che esiste un unico modo per dimostrare che un calcio diverso può esistere: vincere. Per soddisfazione personale, per orgoglio collettivo, ma anche per lanciare un messaggio contro la cultura dominante dell’ultradestra: il tempo della rappresentanza è finito, ora tocca affermarsi sul campo. Da cattivi.
La versione in inglese di questo articolo è stata pubblicata da openDemocracy, qui.