Farewell Aga – Radwańska a un passo e mezzo dal cielo.

Agnieszka Radwanska 4 PoloniCult

A 29 anni la più grande tennista polacca di tutti i tempi ha deciso per il ritiro, avendo solo sfiorato una vittoria nel grande Slam. Un ritratto di Agnieszka Radwańska.

di Salvatore Greco

 

E sorridevi e sapevi sorridere, Coi tuoi vent’anni portati così
Come si porta un maglione sformato su un paio di jeans

Wimbledon, All England Lawn Tennis and Croquet Club, è il 7 luglio del 2012 e non piove. Nel Regno Unito la pioggia non fa mai notizia, ma a sudovest di Londra tra l’ultima settimana di giugno e la prima settimana di luglio si guarda il cielo con più attenzione. In quei giorni si consuma il rito antico di Wimbledon, il tennis è ospite della sua casa più nobile e la pioggia è una delle poche cose in grado di rovinare la festa. Dopo giorni di temporali, partite interrotte e programmi stravolti, quel sabato Wimbledon si sveglia sotto un sole delicato e tutti tirano un sospiro di sollievo perché quel pomeriggio si giocano il titolo femminile Serena Williams e Agnieszka Radwańska.

Serena è la favorita naturale, i suoi anni bui sono alle spalle e a Wimbledon ha già trionfato quattro volte. Di fronte a lei, Agnieszka Radwańska, cracoviana, 22 anni, alla sua prima finale di un torneo dello Slam. Non potrebbero essere tenniste più diverse Serena e Aga, l’americana un tripudio di muscoli, servizio e aggressività da fondo, la polacca una giocatrice di intelligenza tattica, amore per il gioco a rete e un fisico agile ma di certo non potente.

Radwańska arriva alla finale tranquilla, felice di essere lì, consapevole che le sue armi possono poco contro la potenza di fuoco di Serena e persino un po’ febbricitante per via di qualche set di troppo giocato sotto la pioggia. Il match è combattuto, Aga strappa persino un set, ma chiude con il punteggio di 6-1 5-7 6-2 in favore dell’americana.

Sembra solo un appuntamento rinviato quello con la vittoria Slam, il talento e lo stile della tennista polacca sono notevoli e Wimbledon sa premiare queste caratteristiche più di ogni altro campo del tennis moderno. Sembra, però. Perché quel 2012, quella finale, quel secondo posto nel ranking WTA sono il massimo che Aga raggiungerà prima del suo ritiro in questo novembre, a trent’anni ancora da compiere.

Era facile vivere allora, ogni ora,
chitarre e lampi di storie fugaci,
di amori rapaci

La Aga Radwańska del 2012 non è una scheggia impazzita come ce ne sono tante nel tennis femminile, circuito di meteore incendiate nel tempo di un successo, anzi. Da almeno sei anni sui campi di tutto il pianeta racimola punti, vince tornei e soprattutto mette in scena battaglie epiche contro avversarie di grande valore, come Martina Hingis o Maria Sharapova, uscendone vincitrice. Il segreto di questa minuta tennista polacca è quello di andare controcorrente: mentre tutte le tenniste contemporanee allenano a più non posso i colpi da fondocampo e la resistenza strenua, Aga affina il polso, corre, smorza, gioca da ogni parte del campo e verso ogni parte del campo, annullando in anticipo le trame delle avversarie. Per gli appassionati di un tennis vecchio stile, fatto di gesti bianchi e tecnica pura, Aga Radwańska è una boccata di aria fresca a pieni polmoni. Per gli appassionati diventa “la maga”, quella che riesce a portare lo scambio dove vuole lei, a spostare gli equilibri e sfruttare la forza delle avversarie a suo favore. Nei suoi momenti migliori, il tennis di Radwańska è inebriante per le soluzioni che trova e per il modo in cui con l’intelligenza supplisce alla poca potenza nel braccio.

E con il gioco arrivano i successi. Vince il suo primo titolo da professionista a Stoccolma, a 18 anni, e poi è un crescendo costante e progressivo di risultati e incontri. Radwańska lo affronta serena, pacata, senza mai tradire tendenze di divismo appartenute a diverse sue colleghe, e sempre coerente al suo piano di gioco. La accompagnano il padre e poi il suo storico coach Tomasz Wiktorowski. Quando a Wimbledon si gioca il titolo ha già in palmares dieci titoli e due finali perse, è una delle tenniste più forti in circolazione e ne è pienamente consapevole.

Ma ogni storia la stessa illusione, sua conclusione,
e il peccato fu creder speciale una storia normale.

Radwanska 5 PoloniCult

Nel 2013, un anno dopo la finale contro Serena, Radwańska a Wimbledon sa di potersi confermare e il tabellone quell’anno le fa un regalo insperato: le prime sedici teste di serie, eccetto lei e Petra Kvitova, salutano il torneo, prima degli ottavi di finale. Al giro di boa della seconda settimana slam sono già fuori dai giochi quasi tutte le più forti giocatrici del momento, Serena Williams, Viktoria Azarenka, Li Na, Angelique Kerber, Karoline Wozniacki, Ana Ivanovic, Maria Sharapova. Aga arriva in semifinale senza grandi problemi e consapevole che l’altra finalista sarebbe stata la francese Marione Bartoli, tennista alla sua portata e che Radwańska ha sconfitto sette volte su sette in carriera. Tra la finale contro la sua vittima preferita e lei si mette però Sabine Lisicki. La tedesca è una tennista ruvida, potentissima al servizio ma mediocre negli altri fondamentali, Radwańska in carriera ha liquidato avversarie molto peggiori. Eppure, quel giorno qualcosa non va, i nervi hanno la meglio e il match si trasforma in un melodramma di ribaltamenti di fronte che vince la tedesca (di origini polacche) con un punteggio eloquente per tutti gli appassionati di tennis: 6-4 2-6 9-7. All’ultimo set giocato a oltranza, Radwańska dice di nuovo addio al sogno di uno slam, uno decisamente alla sua portata.

Non fu facile volersi bene, restare assieme
e pensare d’avere un domani, restare lontani;

Gli anni successivi passano con risultati buoni, ma non ottimi, grandi piazzamenti ma non vittorie, e mentre scendono le stelle e le fortune di Sharapova e Azarenka, quella di Radwańska non sembra riuscire a salire. Ci sono momenti di tensione, di rinuncia, di paura, fino alla scelta importante e coraggiosa di affiancare al suo team di allenatori, una delle più grandi tenniste di tutti i tempi: Martina Navratilova. Il compito della ex campionessa americana di origini cecoslovacche è chiaro, cambiare il tennis di Radwańska, portarla ad attaccare di più, a tirare più forte, a giocare allo stesso modo delle sue nemesi.

I risultati sono, nemmeno a dirlo, disastrosi. La Aga che scende in campo nella stagione 2015 è visibilmente in difficoltà con quest’idea di gioco, si trova spezzata tra la sua anima tattica e attendista e il desiderio di affondare sassate da fondo che fanno le fortune delle campionesse. In parte il braccio non la accompagna, in parte è l’indole a fare la sua, ma la Radwańska restituita dalle telecamere non offre più i sorrisi sereni di un tempo quanto espressioni contrite e labbra strette di insoddisfazione. La collaborazione con Navratilova, dopo appena cinque mesi, è archiviata.

E in quel 2015 iniziato sotto pessimi auspici arriva per Aga una gioia insperata, la vittoria nel Master di fine anno a Singapore. Il torneo ha un parterre importante, è quello a cui accedono solo le migliori otto tenniste dell’anno, ed è quasi equiparato a uno slam. Ma non è uno slam, non ne ha nemmeno l’aria quel torneo lì giocato a novembre a Singapore, lontano dalla tradizione sacra di Wimbledon o del Roland Garros, dal fascino complesso dell’Australian Open, dall’abbraccio di folla degli US Open. E Aga lo sa anche mentre festeggia.

Ma ogni storia la stessa illusione, sua conclusione,
e il peccato fu creder speciale una storia normale.

Cosa ne è stato allora di questi ultimi tre anni di tennis professionistico per Agnieszka Radwańska? Poco. Poche soddisfazioni, solo tre titoli conquistati nel 2016, qualche infortunio e bocconi amari. Il tennis è scappato via in direzione ostinata e contraria, lungo la strada dettata dalle giocatrici di potenza, ha eletto a vincitrici Slam ragazze giovani e sfrontate come la lettone Jelena Ostapenko o lottatrici tenaci come la rumena Simona Halep mentre Radwańska sta sempre più a guardare, sempre più di fianco, con il ritmo e il romanticismo di un treno a vapore mentre si consuma la quarta rivoluzione industriale.

Radwanska 7 PoloniCult

A volte sembra una campionessa del passato catapultata per errore ai giorni d’oggi, non sfigurerebbe con la racchetta di legno a duellare con Suzanne Lenglen o nemmeno a calcare il campo negli stessi anni di Steffi Graf o della giovane Martina Hingis, ma nel tennis del 2018 non c’è più spazio per il tennis ragionato e tecnico di Agnieszka Radwańska.

L’addio professionistico di Aga la maga è un rammarico per il tennis degli esteti, sempre meno rappresentato, e anche per chi sperava di fermare almeno per un po’ la china fisico-atletica di uno sport storicamente riservato alla tecnica. Non ci resta che un grazie per questi anni e per averci fatto credere che un altro tennis fosse possibile, con il rammarico condiviso di essersi fermati lì, a un passo e mezzo dal cielo.

Ora il tempo ci usura e ci stritola
in ogni giorno che passa correndo,

sembra quasi che ironico scruti e ci guardi irridendo.
E davvero non siamo più quegli eroi
pronti assieme a affrontare ogni

impresa;

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