Adam Baruch, la Polonia a tempo di jazz

Adam Baruch

Jazzista, jazzofilo e operatore culturale di livello internazionale, Adam Baruch si racconta in occasione del Festival Singer.

di Lorenzo Berardi

Parlare con Adam Baruch equivale a consultare una brillante enciclopedia vivente della musica jazz internazionale. Non a caso il suo sito personale, The Soundtrack of My Life, ospita quasi 6000 recensioni di dischi perlopiù jazz e di rock progressivo con un’ampia sezione dedicata anche alle incisioni di artisti italiani quali Banco del Mutuo Soccorso, Giorgio Gaslini, PFM ed Enrico Rava. «Grazie al mio lavoro, ho la possibilità di ascoltare quasi ogni disco di jazz pubblicato nel mondo» assicura e c’è da credergli visto una carriera di tutto rispetto e lunga mezzo secolo nel settore.

Nato a Chorzów nel ’51, il giovane Adam lascia la Polonia a 16 anni diretto in Israele. Ad accompagnarlo una grande passione per la musica jazz emersa già in madrepatria. Iscritto sin dal ’67 all’Associazione del Jazz Polacco, Baruch ha fondato la Israel Jazz Society nel ’78 ed è stato tra i primi membri di un’associazione europea del jazz oggi divenuta l’International Jazz Federation. Oggi Adam Baruch è un critico musicale pluripremiato che scrive sulle più importanti riviste del settore, ma anche un produttore e un fondatore di etichette discografiche molto conosciuto nell’ambiente. Dal 2014 è divenuto il direttore artistico del cartellone jazz all’interno del Festiwal Singera, il celebre appuntamento varsaviano dedicato alla cultura ebraica e la cui quindicesima edizione è in corso di svolgimento nella capitale.

PoloniCult ha incontrato Adam Baruch il 21 agosto in via Senatorska a Varsavia, al termine della conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2018 del Singer. Una chiacchierata che era cominciata qualche giorno prima per telefono fra la capitale ed Haifa, in Israele, e partita da una richiesta molto particolare: «Non chiedetemi nomi di jazzisti polacchi contemporanei da consigliare ai vostri lettori, perché preferisco non fare elenchi o classifiche. La musica jazz non è un concorso ippico e i nomi dei suoi interpreti contano poco».

Da esperto in materia e ascoltatore attento, tuttavia, che ne pensi dell’odierna scena jazzistica polacca?

«La scena jazz polacca ha avuto alti e bassi, ma adesso è di grande qualità nonché probabilmente la più vivace in Europa. Oggi se si ascolta la musica di un qualsiasi jazzista polacco fra i 25 e i 35 anni, la qualità media di quella incisione è fantastica. E questo accade perché ci sono ottime scuole di musica, un contesto culturale adatto e qualcosa nell’aria che rende la Polonia speciale. Del resto qui il jazz è sempre stato un linguaggio musicale sinonimo di libertà, sia durante l’ultima guerra che negli anni del regime socialista. E da quando la Polonia è entrata nell’Ue nel 2004 tanti giovani e talentuosi jazzisti polacchi hanno avuto la possibilità di perfezionarsi studiando ad Amsterdam, Berlino, Copenhagen e altrove in Europa. Questa libera circolazione di persone e di idee ha consentito al jazz polacco di raggiungere nuove vette. Credo che oggi il jazz migliore si suoni proprio in Europa, mentre la scena statunitense mi sembra in crisi e non propone nulla degno di nota da diverso tempo».

Un’elevata qualità media d’esecuzione e di conoscenza della musica da parte dei jazzisti polacchi alla quale corrisponde anche un pubblico altrettanto competente in Polonia?

«Oggi ci sono circa 120 festival jazz in Polonia e pare che persino i centri urbani più piccini abbiano eventi o piccole rassegne dedicati a questo genere musicale. Forse anche per questo il pubblico polacco è molto appassionato di jazz, ama questa musica e va volentieri ad ascoltarla dal vivo. Purtroppo talvolta per motivi economici non tutti possono permettersi di assistere ai concerti e questo è un problema. Ecco perché la maggior parte degli eventi jazz al Festival Singer ogni anno sono gratuiti e quelli che non lo sono hanno un prezzo simbolico, a portata di tutte le tasche. L’unico motivo per cui chiediamo di pagare un biglietto per alcuni concerti è per evitare che corrano il rischio di essere snobbati in quanto esibizioni gratuite. Detto questo, tutti i jazzisti che hanno suonato in Polonia, e a Varsavia in particolare, mi dicono che amano esibirsi in questo Paese perché qui il pubblico che viene ai concerti è uno dei più competenti al mondo. Percepiscono come il pubblico polacco non solo ami, ma comprenda la musica che ascolta e questo per un musicista è molto stimolante e un incentivo a tornare».

A proposito di ritorni in Polonia, questo è il tuo quinto anno consecutivo al Festival Singer. Cosa caratterizza la tua direzione artistica del cartellone jazz?

«Questo è uno dei pochi festival jazz al mondo basato su un concetto ben preciso: quello della continuità. E infatti molti dei progetti musicali in programma al Singer di quest’anno sono ricorrenti. Per esempio, l’anno passato abbiamo creato ‘Summit’ che si basa su un progetto sviluppato dal critico e autore tedesco Joachim-Ernst Berendt, del quale sono stato molto amico, ed è anche un tributo a lui dedicato. Nel 2017 abbiamo avuto un ‘Clarinet Summit’ che ha visto suonare sullo stesso palco clarinettisti polacchi e internazionali, nell’edizione di quest’anno facciamo lo stesso con il violino e nel 2019 pensiamo a un altro strumento, forse la tromba».

Clarinet Summit 2017 (Festiwal Singera)

In quali altri ambiti del cartellone si manifesta questa ricerca della continuità?

«Un altro progetto in corso prevede l’incontro di giovani jazzisti polacchi con musicisti connazionali più esperti così da permettere a questi artisti di condividere le proprie idee e conoscersi suonando assieme. La Polonia abbonda di accademie musicali e conservatori capaci di sfornare ogni anno un gran numero di jazzisti di valore e questi giovani musicisti incidono molti ottimi dischi. Tuttavia, di norma questi giovani suonano o formano ensemble fra di loro senza avere la possibilità di misurarsi o di collaborare con jazzisti più esperti. Quello che cerchiamo di fare al Singer Jazz Festival è di mescolare le carte e facilitare questo incontro fra artisti di diverse generazioni. Ogni anno abbiamo un resident guest artist dalla lunga carriera che suona dai tre ai cinque concerti assieme a terzetti o quartetti composti da giovani jazzisti».

Cosa rende speciale il tuo lavoro nel definire il cartellone di questo festival? Come e in che tempi avviene, ad esempio, la scelta degli artisti? 

«La maggior parte dei festival jazz nel mondo costruiscono il proprio programma in base alla disponibilità di artisti più o meno noti ad esibirsi in un dato luogo e in un dato giorno, scegliendo quelli che possono farlo. Questo non significa che manchi la qualità musicale, ma che spesso è assente un contesto nel proporla a un pubblico di appassionati. Nel mio caso, c’è un mucchio di lavoro preparatorio da fare per definire il programma di ogni edizione del Singer Jazz Festival. Molti degli artisti che invito a questo appuntamento li scopro attraverso i miei ascolti discografici, contattandoli direttamente dopo essermi imbattuto in un’incisione eccezionale. Tuttavia, non è un processo così semplice. Quando chiamo un musicista per invitarlo qui a Varsavia, lo faccio avendo già in mente in quale contesto o progetto lo farà e con quali altri jazzisti condividerà il palco».

Il Singer nasce e si è affermato come uno dei festival culturali ebraici più importanti in Europa. In che modo la sua rassegna jazz, da te curata, riflette questa identità?

«Cerchiamo di trovare e proporre punti d’incontro fra la cultura ebraico-polacca e la musica jazz. Ad esempio, non tutti lo sanno ma molti dei brani divenuti standard jazzistici – quelli di cui molti ancora oggi conoscono la melodia – sono stati scritti da compositori nati in Polonia e di origine ebreo-polacca (fra di loro Bronisław Kaper e Franz Waxman nda) trasferitisi negli Stati Uniti. Vogliamo diffondere presso il nostro pubblico la conoscenza di questi compositori affermatisi nell’industria del cinema a Hollywood, ma che spesso avevano studiato musica a Varsavia».

Adam Baruch (Jazz Forum)

Parlando di questi punti d’incontro, dal tuo punto di vista di polacco che risiede in Israele come valuti invece il rapporto delle nuove generazioni in Polonia con la cultura ebraica: prevale l’interesse o la diffidenza?

«La Polonia ha un passato con delle note antisemite e questo non possiamo negarlo, ma ritengo che la maggior parte dei giovani polacchi sia al riparo da queste pericolose derive. La cultura ebraica gode di una crescente popolarità e c’è una vera e propria rinascita della vita ebraica in corso a Varsavia dopo che era scomparsa per decenni. Il Singer riveste un ruolo importante in questo processo, ma non è l’unico grande evento dedicato a questa cultura oggi in Polonia, basti ricordare il Jewish Culture Festival di Cracovia che si occupa soprattutto di folklore e tradizione».

Un ottimismo nei confronti delle nuove generazioni polacche che riguarda anche il modo in cui vengono accolti il jazz e la musica di qualità?

«Ragazzi e ragazze in Polonia sanno apprezzare il jazz e la buona musica, nonostante le radio propongano anche qui molta spazzatura. Da anni noto sempre più giovani polacchi che seguono il jazz e la cosa che più mi colpisce è quanto siano coinvolti da questa musica studiandola, leggendone, comprando dischi in vinile se possono permetterselo. Quando sono in Polonia e parlo con ragazzi o ragazze appassionati di jazz noto che conoscono i nomi di tutti i musicisti e sanno chi ha suonato con chi e in quale circostanza. È davvero sorprendente».

Adam Baruch (Jacek Żmichowski)

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