A ritmo di Polska – Un intervallo vivace (estratto)

A ritmo di Polska

Estratto da A ritmo di Polska, libro di Alberto Bertolotto dedicato alla Polonia ai mondiali di calcio del 1974.

di Alberto Bertolotto

Pubblichiamo oggi in esclusiva, su concessione di Alba Edizioni, il capitolo Un intervallo vivace tratto da A ritmo di Polska, libro di Alberto Bertolotto dedicato alla nazionale polacca ai mondiali del 1974. In questo capitolo, Bertolotto ci racconta la sfida – che vale uno spareggio – tra Polonia e Italia. O, meglio, ci racconta i retroscena dell’intervallo di quella partita, cruciale in molti sensi, di passaggio verso il terzo posto mondiale della nazionale biancorossa.

Buona lettura.

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Al termine della seconda giornata il quadro è chiaro: la Polonia determina il cammino delle altre due nazionali ancora in corso per il passaggio del turno, Argentina e Italia. I sudamericani, per continuare la loro permanenza in Germania Ovest, devono battere Haiti e sperare che Lato e compagni vincano contro gli azzurri; questi ultimi, invece, si augurano perlomeno di pareggiare nello scontro diretto. In caso di ko tornerebbero in patria.

La gara di Stoccarda viene ricordata anche per ciò che successe fuori dal rettangolo di gioco, sia da parte italiana sia da parte dei biancocelesti nei confronti del clan biancorosso. Un mese dopo il match,Górski, in un’intervista al quotidiano di Varsavia Życie Warszawy, sostenne che durante l’intervallo della partita alcuni italiani (definiti facoltosi) avvicinarono i giocatori polacchi promettendo un ricco premio se avessero concluso l’incontro in parità. A riportare la notizia in Italia anche il Corriere della Sera. Lo stesso tecnico, tempo dopo, ritrattò dicendo che aveva saputo della vicenda ascoltando «le chiacchiere che facevano fra loro i membri della squadra dopo l’incontro. Ma non saprei dire – affermò all’Ansa – con precisione nemmeno chi lo diceva, né a chi si riferiva». Le testimonianze dei biało-czerwoni a riguardo ai fatti di quei giorni sono contrastanti: c’è chi conferma i tentativi di combine e chi, invece, racconta di non aver visto nulla.

Della prima fazione fa parte Władysław Żmuda. «Agli italiani – ricorda l’ex difensore – bastava un pareggio. Avevamo già il premio garantito per il passaggio del turno, quindi quella partita noi la giocammo praticamente gratis. Alla fine della prima frazione vincevamo 2-0 e ricordo che il vicepresidente Italo Allodi (che in Germania Ovest fu una sorta di tutore di Valcareggi, nda) ci fece vedere una valigia piena di dollari. So anche che durante l’intervallo ci furono delle colluttazioni tra i dirigenti di entrambe le nazionali». Continua il racconto Mirosław Bulzacki: «Ci proposero dei soldi durante l’intervallo – spiega –. Volevano comprare il pareggio. Maio, non parlando inglese, non capivo molto. I nostri dirigenti ci presero in disparte e ci dissero di andare negli spogliatoi. Si assicurarono che non ci fossero più contatti con gli italiani e ci sorvegliarono per tutto l’intervallo. L’accordo non avvenne perché loro volevano fare una cosa veloce».La versione del giornalista di Przegląd Sportowy Stefan Grzegorzcyk nega, invece, la presenza di dirigenti nella zona degli spogliatoi: «In quello spazio non poteva esserci nessuno con una valigia – sostiene –.Lì potevano entrare solo persone autorizzate. Prima del match venne negato l’ingresso anche a un membro del comitato polacco, che fu spedito in tribuna perché lì non poteva entrare». Grzegorz Lato affermerà, invece, che «ci provarono con le riserve, mentre noi titolari eravamo già negli spogliatoi». Così Tomaszewski: «Ci arrivarono informazioni dalla tribuna: gli azzurri erano pronti a darci 22 mila dollari per il pari». Henryk Wieczorek non era convocato ed era seduto sugli spalti ma non ricorda «nessuno con la valigia». Come si vede, ognuno fornisce la propria versione. L’allora presidente della PZPN Jan Maj aggiunge ulteriori particolari: «Sentii che durante la partita c’era un gruppetto che voleva arrivare a parlare con Gorgoń. Forse volevano trovare il risultato che sarebbe andato bene a entrambi. Tuttavia non ho nessuna prova a riguardo. A mio parere erano voci buttate là per rovinare l’atmosfera che si viveva”. Jerzy Gorgoń a proposito è categorico: “Non vidi nulla di tutto ciò”».

Il dottor Garlicki, invece, riferisce un’altra versione. «Gli italiani ci provarono nell’intervallo ma Deyna disse: “Noi non parliamo con nessuno”. E così finì tutto». A riguardo Aldo Cazzullo, in un’intervista a Sandro Mazzola uscita sul Corriere della Sera, chiese all’ex giocatore dell’Inter cosa successe durante l’intervello. Mazzola confermò di essere stato mandato negli spogliatoi della Polonia a combinare il pareggio, riportando altri particolari rispetto a quelli raccontati da Garlicki: “Proposi di organizzare un’amichevole in Italia, con l’incasso destinato ai polacchi – affermerà –. Parlai in inglese con Deyna che disse di sì. Ma dalla grinta con cui si avventarono nel secondo tempo capimmo che non c’era niente da fare».

Una ricostruzione molto ben curata di ciò che successe, invece, nei giorni prima del match, la fornì il giornalista Mario Pennacchia nella sua opera “Il calcio in Italia”. Al tempo il cronista lavorava al Giorno ed era in Germania Ovest come inviato. Il 20 giugno 1974, a tre giorni dal match del Neckerstadion, il comitato organizzatore offre nella sede di ogni girone un ricevimento alla stampa. L’appuntamento per il gruppo 4 è fissato a Stoccarda alle Terme di Leuze. In pochi accettano l’invito. La rappresentanza italiana è formata da Ezio De Cesari (Corriere dello Sport), Piero Dardanello e, appunto, Pennacchia. A un certo punto De Cesari nota Zbigniew Dutkowski, cronista polacco. I due si salutano, conoscendosi da tempo, poco dopo si appartano e cominciano a confabulare. L’inviato italiano interrompe il colloquio e torna dai colleghi. Con aria sorpresa, pur con la premessa che il collega della Polonia è uno dei pochi autorizzati dal regime a recarsi all’estero, confida:«Mi ha chiesto se si può fare in modo di combinare un pareggio per la gara di domenica».

Dardanello e Pennacchia decidono di stare al gioco, così De Cesari torna da Dutkowski assieme ai due colleghi. Il polacco accetta di parlare solo con chi dei due si assumerà l’impegno di portare il messaggio al presidente della Figc Artemio Franchi. La scelta cade su Pennacchia. Nel frattempo si aggiunge un altro giornalista, Andrzej Roman. «Soltanto gli stupidi – attacca Dutkowski – possono giocare domenica senza tener conto della classifica. La Polonia si è già qualificata e si ritiene più che soddisfatta. Vuole solo conservare il primo posto per andare nel girone meno difficile e senza logorarsi troppo”. Pennacchia non si lascia convincere da questa tesi visto che nel pomeriggio ha intervistato Górski, che ha dichiarato di voler vincere. Roman interviene infastidito («Cosa vuoi che dicesse davanti a tutti?») e lascia la parola a Duktowski, che sottolinea come a entrambi vada bene un pari, punteggio che garantirebbe all’Italia il pass per il secondo girone. Inoltre precisa che la gara deve terminare 0-0 «perché se una squadra dovesse andare in vantaggio potrebbe avere poi la tentazione di difenderlo». Il giornalista del Giorno allora interviene e interroga il collega polacco: «Come si fa a realizzare una combine?».Dutkowski risponde quasi seccato e mette le carte in tavola. «Si può fare benissimo. Ho già parlato con Górski il quale aspetta di conoscere la formazione che deciderà Valcareggi. Solo uno stupido non capirebbe se volete giocare per vincere o se vi accontentate di uno 0-0». Pennacchia segue nel ragionamento il collega e chiede con quale formazione potrebbe convincere Górski che l’Italia punta al pari. Dutkowski allora si scopre: «Si deve poter contare su uomini affidabili.Ci sono giocatori che è meglio lasciare in tribuna. Sono Anastasi e Chinaglia. Il primo è imprevedibile e il secondo ha sete di rivincita. Anche noi abbiamo un matto: Szarmach. Quindi fuori lui, Anastasi e Chinaglia».

Strano – ricorda Pennacchia – poche ore fa, alla domanda se fosse tentato di giocare per lo 0-0, Górski ha risposto: chi mi garantisce gli ultimi dieci minuti?”. Riprende Dutkowski: “Lo vedi? Finalmente anche tu cominci a riflettere. Dunque, se l’Italia vuole il pareggio faccia giocare Rivera, magari anche Parola, Piola e Meazza. Górski capirà e sarà 0-0”.

La missione dei polacchi sembra terminata. Dutkowski invita al tavolo un altro connazionale e lo presenta come C.M., funzionario responsabile dell’ufficio stampa e delle pubbliche relazioni della PZPN. Quest’ultimo aggiunge:«Restiamo intesi che nella ripresa non ci deve essere più di un cambio». Una condizione che avvalora il sospetto che l’operazione sia stata studiata nei dettagli nel quartier generale polacco.I cronisti rientrano in albergo e informano i direttori del Corriere dello Sport e del Giorno. A guidare quest’ultimo quotidiano c’è Gianni Brera. Per tutti vale la clausola del massimo riserbo. Quest’ultimo però aggiunge: “Renderemo nota la vicenda solo se l’Italia perde con la Polonia. A quel punto potremo dire che si è preferito tornare a casa piuttosto che scendere a un patto disdicevole”. Il 21 giugno Pennacchia incontra Franchi a Ludwigsburg. Il presidente della Figc ringrazia e saluta, indispettito. La sera stessa, in anticipo rispetto al solito, viene decisa l’esclusione di Rivera e Riva e l’impiego di Anastasi e Chinaglia. Sembra l’accettazione della sfida. La Polonia schiera Szarmach. Il cronista del Giorno torna in hotel e, dopo una riunione, si ribadisce di tirare fuori la vicenda in caso di eliminazione degli azzurri.

Arriva il giorno della gara. Al termine del primo tempo la Polonia conduce per 2-0 grazie ai gol di Szarmach e Deyna. L’Italia cerca di ristabilire la parità nella ripresa ma arriva solo la rete di Capello a pochi istanti dal termine. Al fischio finale un cronista polacco, rivolto verso il settore occupato dagli inviati italiani, grida parole così aspre da farlo apparire un personaggio alquanto strano. Il protagonista è proprio Zbigniew Dutkowski. «Bravi, complimenti! Ancora una volta avete voluto fare i furbi, ma siete stati puniti come meritavate! Adesso fateci un favore, toglietevi dai piedi e andate all’inferno».

Brera chiama così Pennacchia: «Sbrigati a raccontare quello che sai. Cento righe, non di più. Ma deve starci tutto». Il cronista esegue. Ma intanto al termine del primo tempo uno degli accompagnatori italiani insinua all’orecchio di un giocatore italiano molto popolare di provare a far riflettere i polacchi. Il messaggio da recapitare è chiaro: un pareggio va bene a entrambi e non toglie nulla a nessuno. Il rifiuto del campione è secco, tuttavia il dirigente non si rassegna finché non si imbatte in chi è disposto alla complicità.

Nel 2004, a distanza dunque da trent’anni dal match di Stoccarda, uscirà un’altra notizia. Protagonisti stavolta il clan argentino e un giocatore dei biancorossi, Robert Gadocha. Quest’ultimo, in un libro scritto da un componente dello staff del ct Cap, venne accusato di aver ricevuto e intascato 18 mila dollari dai calciatori sudamericani per battere l’Italia. L’ala del Legia Warszawa, a quanto pare, non divise mai i soldi con i compagni di squadra. Per anni Gadocha è stato cercato in Polonia per chiarire la vicenda. Tra gli altri se n’è occupato Marek Wawrzynowskiper Sportowe Fakty. Dopo diverso tempo l’ex portacolori del Legia avrebbe risposto a Polsat dicendo che si trattava di una bugia, di una chiacchiera velenosa messa in giro da sua moglie da cui si era separato da molti anni. Ma il fatto che sia rimasto in silenzio per diverso tempo – ha scritto ancora il cronista polacco – ha portato molti a ritenere il suo comportamento come un’ammissione di colpa.

Dopo aver appreso la notizia sono state svariate le reazioni dei biancorossi. Alcuni hanno difeso il proprio ex compagno di squadra. «Robert è un mio amico e non mi ha mai parlato di questo» è l’intervento a riguardo di Henryk Kasperczak. «Eravamo giovani e concentrati ad affrontare le partite. Non è pensabile sia successa una cosa del genere» afferma Kazimierz Kmiecik. «Non ero un amico intimo di Robert – interviene Henryk Wieczorek – ma lo conoscevo abbastanza e posso dire che una porcheria del genere non l’avrebbe mai fatta, è irreale. Non ho sospetti su di lui».«Non si può condannare una persona se non si ha dimostrato la sua colpa» difende Gadocha Adam Musiał.«È una cosa poco credibile – afferma Henryk Loska –. È strano che questa vicenda esca dopo trent’anni. Tuttavia mi chiedo come mai Gadocha non si sia mai difeso». Più generico l’intervento di Jan Domarski: «Ho sentito qualcosa ma non so nulla di concreto: preferisco non esprimermi» afferma l’ex attaccante.

È, invece, dura l’accusa di Jan Tomaszewski, che come al solito non ha mezze misure e non usa la diplomazia. «Lui ha rubato – tuona l’ex portiere –. Se li avesse distribuiti non avremmo avuto chissà quale beneficio. Tuttavia mille dollari a testa non erano pochi. Da lui non si è mai percepito nulla ma posso dire allo stesso tempo un’altra cosa. Lui non era al 100% al mondiale. Non ha segnato nemmeno un gol. E le ultime quattro partite (quelle dopo la gara con l’Italia, nda) le giocammo in dieci perché non era più lui. Chissà, con Robert al massimo magari avremmo potuto vincere la medaglia d’oro. È una cosa scandalosa, non gli darò mai la mano». Più cauto Gorgoń: «Se si è scritto qualcosa vuol dire che un fondo di verità c’è. Durante i mondiali non sentii nulla a riguardo. Pensavo solamente a giocare».

Il dottor Garlicki difende Gadocha: «Quando ero nello staff delle giovanili, precisamente nella squadra juniores, c’era un ladruncolo nel gruppo. Robert un giorno venne da me e disse: “Lui ruba gli attrezzi”.E il ragazzo venne buttato fuori dal club. Per questo non penso che questa storia sia vera». Così il figlio di Górski, Dariusz: «Mio papà non credeva a questa cosa – afferma –. Ma una volta sentita la notizia da tre persone ammise che qualcosa di vero doveva esserci». Intervistato anche da Trybuna, quotidiano polacco, Gadochareplicò in maniera secca: «Non torno volentieri su questo argomento. Queste chiacchiere sono un’assurdità».

I biancocelesti, felicissimi, mandarono nel ritiro della Polonia, casse di mele per ringraziarli per aver battuto l’Italia. E in virtù di quel successo, i sudamericani accolsero alla grande i biancorossi ai campionati mondiali del 1978 disputatisi in Argentina.

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