Jack Strong

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Un’affascinante spy-story oltre cortina e oltre i soliti schemi

Un furgone entra nel magazzino di una fornace, degli uomini armati scendono, tirano fuori un uomo incappucciato e inscenano la pallida imitazione di una condanna di fronte a un altro uomo, russo e mingherlino, che chiamano con i suoi gradi militari. L’uomo incappucciato viene preso da due dei suoi aguzzini e, tra le urla strazianti, gettato in mezzo alle fiamme della fornace.

Ancora una volta sembra un film americano come tutti gli altri, ancora una volta è un film polacco sorprendente. Stavolta Hollywood presta i suoi trucchetti a Władysław Pasikowski e lui tira fuori dal cilindro nientemeno che Jack Strong.

Tutto nasce nella Polonia degli anni ’70 dove un giovane e brillante ufficiale dell’esercito polacco per un’esercitazione strategica elabora un piano di invasione della Germania; per lui è solo un gioco, ma involontariamente scopre un diversivo bellico dei sovietici per muovere gli equlibri della guerra fredda. Quando si rende conto che i sovietici sarebbero davvero capaci di mettere a repentaglio la sua Polonia per una scaramuccia con gli americani iniziano i rimorsi di coscienza, il ligio ufficiale diventa una spia, per gli americani lui sarà Jack Strong.

Affidandosi a un bravissimo interprete come Marcin Dorociński, Pasikowski racconta la storia vera dell’ufficiale dell’esercito popolare polacco Ryszard Kukliński che divenne una spia della CIA negli anni Settanta contribuendo in maniera non indifferente alle sorti della guerra fredda e che è scomparso dieci anni fa in Florida. La sua figura è piuttosto controversa dal momento che, prima di passare allo spionaggio, fu un ufficiale tra i più importanti di tutti gli eserciti del patto di Varsavia; noto è il suo ruolo come coordinatore dell’invasione della Cecoslovacchia nel 1968, ma le istituzioni lo hanno tributato dei più alti onori per i servizi resi alla nazione.

La versione cinematografica di Ryszard Kukliński è giocoforza un po’ più agiografica di quanto la realtà non permetterebbe, il personaggio che viene fuori è infatti un sincero militare che vive la sua intera vita quasi come se fosse sempre in caserma e vive solo molto relativamente l’ambiguità della situazione che lo vede ligio ufficiale e spia al soldo del nemico. Durante l’interrogatorio che fa da cornice al film, infatti, dichiara con una fermezza probabilmente esagerata che niente di ciò che ha fatto poteva essere considerato tradimento visto e considerato che era tutto nel diretto interesse del suo Paese e contro la scellerata leggerezza dell’Unione Sovietica nel muovere i suoi satelliti come avventati pedoni nella scacchiera della guerra fredda.

Il personaggio però non è monolitico, la doppia versione di sé lo umanizza dopo un po’ nel più ferino e istintivo dei sentimenti: la paura per sé e per la propria famiglia che sarà motore ineluttabile delle vicende di tutta la seconda parte della pellicola.

Entrare ulteriormente nei dettagli di un film che fa della costruzione e decostruzione meticolosa di dettagli e suspense sarebbe ingiusto nei confronti di chi legge e desidera godersi il film, ma non si può tacere sulla capacità di Pasikowski di mediare nell’ambiente polacco e in una storia sinceramente “nazionale” stilemi tipici dei film americani di spionaggio. Se le pacchianissime scritte che appaiono sullo schermo come fossero caratteri digitali durano solo pochi minuti (grazie al cielo!), inquadrature e intere sequenze ormai di scuola nel cinema americano a tema spie vengono usate con maestria. C’è persino una scena di inseguimento su una vecchia Opel color senape per la periferia varsaviana che riesce efficace e poco contraffatto, aiutato certamente dalla cornice attorno al film. Molto della capacità di immedesimazione ambientale del film (fondamentale per non fare sembrare una Opel scassata che fugge dalla polizia irrimediabilmente grottesca) viene anche dalla costruzione impeccabile dei personaggi, almeno quelli polacchi: dai burocrati inetti e invidiosi, al figlio ribelle di Kukliński, al sosia perfetto del generale Jaruzelski che ha sicuramente aiutato molto la resa storica funzionano tutti molto bene. Un po’ meno riusciti i personaggi degli ufficiali sovietici che sembrano più membri della mafia russa, quasi ridicolo infine Leonid Brezhnev che per fortuna appare solo per una manciata di minuti.

Insomma, al netto di alcune imperfezioni, Jack Strong è un film che merita di essere visto anche se il titolo vi fa pensare a Steven Seagal che ferma i proiettili con le mani; è un film che dimostra ancora una volta la capacità del cinema polacco di sapersi offrire pure a un pubblico scettico senza svendere storie e fini, perlomeno non troppo.

Salvatore Greco

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