Ewa Lipska. Cara signora Schubert…

PoloniCult Penna
La lirica epistolare di Ewa Lipska

di Salvatore Greco

Roberto Vecchioni alle lettere d’amore ha dedicato una delle sue canzoni più belle. “Anche quando la guardi, anche mentre la perdi, quello che conta è scrivere” dice in due versi particolarmente riusciti.

Difficile credere che Ewa Lipska conosca Vecchioni, ed è solo un po’ più probabile che lui conosca lei, eppure tra queste parole in musica del poeta professore e le opere di Lipska raccolte ne “L’occhio incrinato del tempo” c’è un portato lirico molto affine, tanto da farmi venire voglia di canticchiare quella canzone mentre vado verso questo nuovo gioiellino della Polonia a scaffale. Venite, vi accompagno.

Ewa Lipska è una figura interessante del panorama poetico polacco attuale: non appartiene ovviamente alla fascia degli autori più giovani, ma dai grandi vecchi la separa una ventina d’anni e sono anni importanti, difatti essendo nata nel 1945, Lipska praticamente non ha mai conosciuto la guerra e questo mette un solco importante tra lei e Herbert, Miłosz, Różewicz o Szymborska per quanto di questa sia stata una grande amica.

La poesia della Lipska dunque è, a suo modo, libera dal portato imponente della Storia che ha condizionato nel bene e nel male i suoi illustri colleghi, ma non per questo è ignara della grande lezione del Novecento, solo la coniuga in una maniera particolarmente originale.

Avvicinandoci allo scaffale della poesia il libro di Ewa Lipska che cercheremo è facile da individuare: è azzurro, non particolarmente spesso, il dorsino ci dirà che è edito da Armando editore. Aprendolo, due piccole grandi scoperte: la prima è che c’è il testo a fronte, benedizione di studenti, studiosi e appassionati; la seconda è che ci troviamo nello scaffale della poesia, ma il libro è composto da prose, prose liriche, diremmo, tutte con lo stesso incipit “cara signora Schubert”.

Il mondo lirico di Ewa Lipska, perlomeno quello delle due raccolte originali riunite dentro questo volumetto italiano, è composto da lettere d’amore. Lettere d’amore scritte da un uomo alla donna amata, la sua signora Schubert.

Lipska Copertina PoloniCultSarebbe uno sbaglio vedere la scrittura in prosa e farsi trascinare in un mondo narrativo, cercare un inizio e una fine, un nesso logico, o addirittura delle vicende. I personaggi non esistono, non cercateli, la signora Schubert è un destinatario ideale, immaginarla è quasi un peccato. L’uomo che le scrive, che ha amato e perduto, fa riferimento a un passato saldamente piantato nel contingente: ci sono fruttivendoli, bulloni, ruote panoramiche, c’è perfino eBay e tuttavia è un contingente che sfugge, si confonde nella memoria, si perde in mille ossimori lirici e onirici. La corrispondenza a metà di quest’uomo infatti non è il diario intimo di un amore, o meglio potrebbe esserlo se ci fossero velleità narrative, ma la poesia si nutre di assoluto e rigetta il particolare, le lettere per la signora Schubert raccontano un amore specifico e magari “reale”, ma si rivolgono a una miriade di situazioni, colpiscono con varie misure di luci e ombre tante storie possibili, si confrontano con il metafisico e con la filosofia tanto quanto fanno con i sentimenti individuali se non di più.

Non c’è nemmeno un luogo, sebbene la potenza immaginifica di Ewa Lipska ne crei una costellazione intera, uno più vivido dell’altro. C’è Vienna, certo, più volte evocata e una volta almeno nominata palesemente, e qui -senza voler fare bieco biografismo- l’autrice entra dalla porta principale nelle sue liriche visto che per molto tempo nella capitale austriaca ella ci ha vissuto, ma ancora una volta basta alzare gli occhi dal libro, guardare i Kavafis, i Leopardi, i Pessoa e i Rilke che abitano lo scaffale di fronte a cui ci troviamo per ricordarci che si tratta di poesia e che quindi una città evoca simboli e non racconta vicende. Vienna c’è perché un amore così malinconico necessità del giusto palcoscenico fin-de-siècle che solo l’antica capitale asburgica sa evocare.

E poi andando avanti nella lettura si farebbe una sgradevole scoperta se ci si ostinasse a leggere le lettere come se fossero “semplici” prose; le parole di Lipska sono pesate con il bilancino di un gioielliere, creano immagini solo apparentemente semplici, ma che se degnate dell’attenzione richiesta dalla poesia manifestano un mondo complesso, fugace ma anche limpido e quasi sempre malinconico, di quella melancolia mai banale degli amori perduti che racchiude forse tutti i dolori del mondo.

Salvatore Greco

Con un ringraziamento particolare alla traduttrice di questo volume, Marina Ciccarini, che un ruolo preziosissimo ha avuto nella formazione di chi scrive e di conseguenza è artefice a suo modo dell’esistenza stessa di PoloniCult.

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