Wiera Gran. L’accusata.

Wiera Gran PoloniCult

Storia di Wiera Gran, la cantante che, sopravvivendo all’Olocausto, fu uccisa due volte.

di Mario Carbone e Iwona Agatowska
 

“Io sono il signor K, quello di Kafka”.

Era da tempo che con una cara amica pensavamo di scrivere un articolo a proposito delle sensazioni che aveva suscitato in noi la lettura del libro Wiera Gran. L’accusata che affronta il trauma di una cantante ebrea sopravvissuta all’olocausto da un punto di vista non convenzionale. Proveremo a mettere su carta una lunga notte passata confrontandoci in maniera febbrile, a volte impetuosa ma sempre appassionata.

Wiera Gran cover PoloniCultL’autrice del libro, Agata Tuszyńska, intervista e raccoglie documentazione dedicandole anni di lavoro e finendo per regalarci una descrizione spesso impietosa di una artista che amava ma di cui voleva descrivere in maniera obbiettiva le contraddizioni che ne distinsero sempre le sue azioni prima, durante e soprattutto dopo la guerra.
Quello che a prima vista risulta interessante non è ciò per cui viene ricordata Wiera Gran ma quello per cui fu dimenticata. Era una cantante, il suo nome era molto conosciuto negli ambienti dei caffè e dei cabaret di Varsavia famosi per la loro vita culturale nel periodo tra le due guerre. Spesso accompagnata da Szpilman, il famoso pianista del film di Polański,  in particolare al caffè Sztuka, era la vera stella dei locali dove si esibiva ed allora perché calò su di lei un silenzio tanto assordante? Perché Szpilman, il quale aveva scritto per lei più di una canzone non la cita nelle sue memorie e non compare ne Il Pianista?

La risposta più ovvia rimane l’infamante accusa di collaborazionismo che la perseguitò per tutta la vita dopo la guerra, nonostante i fatti non furono mai provati e sia stata scagionata in tribunale da tutte le accuse. Wiera era entrata volontariamente nel ghetto corrompendo un poliziotto per fare quello che nella parte ariana di Varsavia in quel momento storico non poteva, cioè cantare. Con il suo lavoro e la sua fama visse una vita relativamente agiata rispetto al luogo in cui si trovava, teniamo conto che il ghetto di Varsavia contava a quei tempi 450 mila abitanti. Quando iniziarono a diffondersi notizie sull’imminente liquidazione del ghetto riuscì a scappare  e si trasferì con il marito a Babice dove visse sotto mentite spoglie come donna ariana. Ritornò a Varsavia dopo la liberazione e chiese Wiera Gran Szpilman PoloniCulta Szpilman, il quale lavorava alla radio nazionale polacca, di offrirle lavoro ricevendone un netto rifiuto. C’è tutto il dramma degli ebrei  sopravvissuti nelle parole pronunciate dal pianista quando incontrando Wiera  le domanda “tu sei viva?”, solo all’apparenza questa è una domanda retorica, in realtà  nasconde, non troppo velatamente, il quesito sul prezzo pagato per la sopravvivenza, nasconde il disprezzo dell’ebreo verso un suo fratello che potrebbe aver dovuto vendere l’anima al diavolo per sopravvivere; in quel periodo il diavolo aveva due ss su un elmetto.

Quello che colpisce nel profondo dell’anima il lettore attento e sensibile è che questo libro ci mostra gli ebrei non solo come vittime di un crudele destino a cui venivano condannati dalla follia tedesca ma presenta il conto dell’olocausto anche a quegli ebrei che avevano collaborato in maniera diretta alla distruzione di se stessi, ci racconta della polizia ebraica che, a differenza di quanto descritto da Polański, partecipa attivamente ai rastrellamenti nel ghetto e si copre delle peggiori infamie, ci racconta del famigerato “Tredici”, l’ufficio contro l’usura e la speculazione nel ghetto, controllato da un manipolo di ebrei che si arricchiscono sulle disgrazie del proprio popolo mettendosi al servizio della stessa Gestapo e vengono condannati a morte dalla resistenza.

Le accuse, spesso solo dicerie, la inseguono come un incubo, dopo la liberazione la decisione di espatriare per vivere in Israele si dimostra un errore fatale, vorrebbe solo cantare,  mostrare al mondo la sua arte ma non le viene permesso,  non ne avrà mai pieno diritto. Quando in previsione di un suo concerto l’associazione degli ebrei sopravvissuti ai campi di concentramento minaccia di presentarsi con il pigiama a righe, Wiera capisce che non esisterà mai pace per la sua anima. Continuerà a combattere come un Don Chisciotte, mostrando i documenti che ne attestano l’innocenza come unico scudo verso l’intolleranza e la maldicenza dei suoi simili ma non potrà mai ottenere la pace agognata.

Nonostante i successi professionali come la collaborazione e le registrazioni con Aznavour, la paura di essere additata e boicottata la porterà alla pazzia.
La confusione che regna nell’appartamento della Gran, come ci viene descritto durante le interviste effettuate dalla Tuczyńska, ci mostra tra cumuli di spazzatura e deliranti scritte sui muri contro la “cricca” Polański-Szpilman, il vero dolore che ha finito per corrompere l’animo di questa grandissima cantante fino ad annientare la sua arte dissolvendola in un mare di veleno che il suo cuore non è riuscito a contenere e che traboccando si è  riversato su chiunque le fosse stato vicino in passato, allontanando i vecchi amici, i colleghi con cui si era esibita, lasciandola triste e sola ad affrontare i fantasmi che l’accompagnarono fino alla fine dei suoi giorni, morendo, ironia della sorte per una ebrea, in compagnia solo di una suora.

In conclusione, ci troviamo di fronte ad un libro biografico che trascende la vita di un singolo personaggio, si astrae dalla storia come interminabile lista di fatti e date e potrebbe essere riassunto nella frase “I superstiti, le vittime di Hitler, non hanno mai smesso di lottare. Sono rimasti invischiati in un groviglio di accuse reciproche: non è stato facile trovare una via d’uscita, verso la luce“.

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