Wesele, festa di nozze tragicomica

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Smarzowski nel solco del riso dolceamaro

Abbiamo già sfatato il mito del cinema polacco come lento e noioso, ma vi dirò di più: a volte fa addirittura ridere e riflettere allo stesso tempo.  Ne abbiamo già parlato qui e qui per quanto riguarda i “classici”, ma venendo al presente è il caso del film Wesele (2004) di Wojciech Smarzowski, uno tra i registi più innovativi e controversi all’interno del panorama del cinema polacco contemporaneo.

Con uno sguardo dissacrante e ironico, Smarzowski racconta la sua Polonia, attraverso la storia e le tradizioni.

E cosa c’è di più tipico e tradizionale dei festeggiamenti nuziali? Nell’immaginario comune degli occidentali, spesso il matrimonio slavo corrisponde a fiumi di vodka, giorni e giorni di baldoria e balli folkloristici accompagnati da una fisarmonica. In effetti, posso confermare che per partecipare a un matrimonio polacco è consigliabile avere uno stomaco di ferro. A descrivere il resto ci pensa Smarzowski, che con Wesele ci porta nel vivo della festa di un tipico matrimonio polacco.

Molte sequenze ci vengono mostrate direttamente dalla videocamera del ragazzo incaricato di fare le riprese della festa, come se anche gli spettatori potessero sbirciare con occhio indiscreto cosa succede. E’ interessante anche la scelta dello sviluppo temporale, lo svolgimento della trama segue fedelmente i tempi dei festeggiamenti nell’arco di una giornata.

Gli elementi ci sono tutti : il pane e il sale, il lancio dei bicchierini da parte degli sposi, i giochi con gli invitati, i cori che incitano “gorzko, gorzko” e l’immancabile “sto lat”. Sì è catapultati in un mondo di provincia, adagiato nella verde campagna polacca, fatto di volti paonazzi e sudaticci per il troppo alcool e le danze, vestiti pacchiani, acconciature cotonate, colori chiassosi e brindisi sguaiati.

Artefice della riuscita della festa è il padre della sposa, per il quale il piacere degli ospiti viene prima di tutto e (letteralmente) ad ogni costo. Si potrebbe dire, che i veri protagonisti del film non siano gli sposi, ma i soldi. Tutto ruota attorno a loro: l’affitto per la sala, cibo e beveraggi in quantità industriali, la band dal vivo, ma soprattutto l’Audi potente e fiammante, dono del padre alla novella coppia. Questa macchina luccicante rappresenta la necessità, portata agli estremi, di mantenere salve le apparenze e rispettare le aspettative tramite il denaro. Tutti nel film esigono di essere pagati, dal prete allo strozzino, nessuno viene escluso da una certa avidità e dal dare così importanza ai soldi. E a pagare il tutto è unicamente il padre della sposa.

In un vorticoso anticlimax vediamo come il lato comico della vicenda lasci il posto a quello più tragico, suscitando un riso amaro di fronte alla disperata ricerca del padre di sistemare le cose e accontentare tutti.

Smarzowski racconta una Polonia che (forse) non c’è più, lasciando la domanda aperta nella scena conclusiva del film. La tanto agognata Audi rimane bloccata e immobile in mezzo a un parcheggio, mentre una serie di vecchie carrette (si può riconoscere facilmente una mitica Fiat 126p) le passa accanto e se ne va.

Elettra Sofia Mauri

 

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