Ucieczka z kina Wolność – libertà dalla pellicola.

Ucieczka z kina wolność

Scritto e diretto da Wojciech Marczewski, Ucieczka z kina Wolność è un film del 1990 genuinamente figlio del suo tempo.

di Salvatore Greco

Sarà per la velocità di fruizione o per la potenza immaginifica che gli è propria, ma tra tutte le arti il cinema è quella che sembra più rapida nel cogliere e riportare il sentimento di un’epoca, specie quando essa segna un cambio di passo. Se questa affermazione non si può, per certi versi fortunatamente, trasformare in regola induttiva si può ben applicare a una commedia drammatica polacca del 1990 dal titolo Ucieczka z kina Wolność (Fuga dal cinema “Libertà”) diretta da Wojciech Marczewski e presentata a Cannes l’anno successivo nella sezione Un certain reguard.

Il 1990 nella storia polacca è un anno dal fortissimo valore di transizione, a cavallo tra le prime elezioni parlamentari concesse nel 1989 –vinte da Solidarność con maggioranze bulgare- e quelle più veritiere del 1991 che sancirono la transizione a una Repubblica parlamentare di tipo europeo. Fu un anno in cui confusione e incertezze, comunque presenti, non prevalsero su un entusiasmo genuino e docile di libertà ritrovata e di un sogno –quello del benessere liberista- ancora lontano dall’essere spezzato. Ucieczka z kina Wolność racconta –in sintesi- proprio questo.

Alla fine degli anni Ottanta in una città che non viene mai nominata, ma che i più attenti osservatori di paesaggi urbani riconosceranno come Łódź, Janusz Gajos –interprete anche del recente Body/Ciało– è un censore al servizio della locale sezione del PZPR, il partito socialista polacco. Da principio sembra perfettamente calato nel suo ruolo, orgoglioso ambasciatore di una missione e uomo conscio del proprio potere. In realtà le ombre dietro la maschera di cera dell’impeccabile funzionario di partito tronfio della propria autorità sono molteplici: il nostro censore infatti soffre di stress, ha un divorzio alle spalle, una figlia che non gli rivolge la parola e una carriera messa nel cassetto come poeta e critico teatrale, tutte cose la cui insofferenza sopisce o cerca di sopire fumando una sigaretta dopo l’altra, mentre fuori dalla finestra –carichi di simbolismo- stanno come a osservarlo un’incessante luna piena e un manifesto stracciato che svolazza trascinato dal vento.

L’evento che fatalmente spezza questa continuità grigia di burocrazia e malumore arriva per caso, surreale e incredibile: al cinema Wolność (che, per inciso, significa “libertà” e il simbolismo ancora una volta non è casuale) durante la proiezione di un modesto film chiamato Jutrzenka gli attori si ribellano alla sorte che il film vuole per loro e inscenano una sorta di sciopero fermandosi a braccia conserte sul fondale o a interagire col pubblico. Cotanto sfondamento della quarta parete da manuale incuriosisce tutta la città che infatti si riversa a frotte alle porte del cinema e naturalmente non può che allarmare le autorità, in questo caso proprio nella persona del censore, che si affretta ad andare al cinema e, in una sala affollata, sviene dopo essere stato rimproverato da uno degli attori perché fuma in un luogo pubblico.

Ucieczka z kina wolność

Il corso degli eventi si fa sempre più improbabile, accompagnato da una epidemia di canto lirico che sembra cogliere tutta la gente intorno improvvisamente smaniosa di manifestare la propria creatività, come se la libertà presa da parte degli attori contagi improvvisamente la città. La scelta del censore a quel punto è di autentica furbizia d’apparato, non impedisce la proiezione del film ma fa in modo di acquistare tutti i biglietti di tutti gli spettacoli previsti in cartellone, tecnicamente il film non è stato vietato e la posizione è inattaccabile. Intervengono anche degli alti quadri di Partito a cercare di capire cosa stia succedendo, viene coinvolto persino un critico un po’ arrogante che mostra come quanto accaduto sia già stato pensato da Woody Allen nel suo La rosa purpurea del Cairo (dove una giovane donna in platea fa innamorare il protagonista del film che esce dallo schermo per stare con lei) e con la collaborazione del proiezionista gli riesce persino di sovrapporre le due pellicole. Questi momenti di puro grottesco barejano in cui funzionari inetti si trovano a scontrarsi con una realtà di cui non sanno dipanare i fili accompagnano anche il nuovo capitolo del dramma umano del censore messo di fronte ai propri fallimenti da parte dell’attrice protagonista di Jutrzenka, da lui recensita anni prima in uno spettacolo teatrale. Una sequenza li ritrae assieme, loro soli, lui nella sala deserta durante una delle tante proiezioni a vuoto, e lei sul fondale di una scenografia spoglia, a parlargli con dolcezza e anche durezza di sogni gettati al vento e di una carriera grigia e misera più di quanto lui non voglia ammettere e che ha prevalso su una vera passione per l’arte e il teatro.

Ucieczka z kina wolność

Il culmine si compie mentre ci si approssima al finale quando la soluzione trovata dagli uomini di partito per fermare la ribellione è dare fuoco alla pellicola e il nostro censore, in un moto ribelle verso il sistema ma anche verso se stesso, decide di entrare nella pellicola, cambiando inesorabilmente le sorti della vicenda…

Ucieczka z kina Wolność è un film delicato dove i toni della commedia dell’assurdo spezzano e tessono trame di esistenze drammatiche. Il dramma non è solo quello personale del censore, funzionario di un impero che vede la sua fine, ma anche quello dei personaggi e del sogno di libertà che esprimono, un sogno certamente genuino e meraviglioso, ma contornato di effimero come quello dei personaggi del film convinti e in qualche modo illusi di potere davvero cambiare le proprie vite e addirittura decidere di esse.

In un’opera tecnicamente semplice e senza concessioni particolari all’estro registico o ad accademismi, Marczewski racconta con dolcezza e malinconia la sbornia di libertà vissuta dal suo Paese in seguito alla grande svolta democratica dell’89, una libertà che però –sembra ammonire il film- dev’essere fatta di consapevolezza del proprio ruolo e non di capriccioso libertinismo da o delle illusioni di un mondo repentinamente diverso. E lo sa bene il suo protagonista, censore quasi senza nome e senza più altro da chiedere, uomo la cui genuinità delle passioni –teatro e poesia- è stata tarpata dalla praticità di un ruolo di burocrate dell’arte ma che non tornerà –e chissà se questo Marczewski l’aveva già capito- nella cornice di un nuovo mondo capitalista che di arte e poesia non sa davvero che farsene.

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