Stanisław Lem – Il castello alto.

Il castello alto

Su Il castello alto, opera autobiografica di Stanisław Lem.

 
 
di Lorenzo Berardi

Le memorie autobiografiche sono un genere letterario nel quale molti grandi scrittori del XX secolo si sono cimentati, in alcuni casi regalando ai posteri autentici capolavori. Come non ricordare, ad esempio ‘Il mondo di ieri‘ di Stefan Zweig, ‘Parla, ricordo’ di Vladimir Nabokov o ancora ‘Tracce nella neve‘ di Gregor von Rezzori? Per tacere del monumentale trittico viennese di Elias Canetti comprendente ‘La lingua salvata‘, ‘Il frutto del fuoco‘ e ‘Il gioco degli occhi‘. Anche un grande letterato polacco come Witold Gombrowicz, già autore di celebrati diari che coprono il periodo dal 1953 al 1969, pubblicò nel ’77 ‘Una giovinezza in Polonia‘ (Wspomnienia polskie) memorie degli anni dell’infanzia e dall’adolescenza dell’autore. In precedenza, persino il premio Nobel per la letteratura Czesław Miłosz non seppe resistere alla tentazione di narrare le memorie dei propri anni giovanili sotto forma di saggio ne ‘La mia Europa‘ (Rodzinna Europa), uscito nel ’59.

Nel medesimo filone si inserisce alla perfezione ‘Il castello alto’ breve ma denso libro autobiografico di un altro famoso scrittore polacco, Stanisław Lem. Nato a Lwów (Leopoli) – oggi città ucraina – e considerato uno dei grandi della fantascienza, Lem è scomparso a Cracovia nel 2006. Tradotto in una quarantina di lingue e capace di vendere circa 30 milioni di libri, Lem non ha tuttavia goduto nel mondo anglosassone della popolarità raggiunta da colleghi scrittori di science fiction come Robert A. Heinlein, Ray Bradbury, P.K. Dick, Arthur C. Clarke o Isaac Asimov. Un destino influenzato dal fatto di non avere scritto le proprie opere in inglese, bensì in polacco e paragonabile a quanto accaduto alle opere sci-fi dei fratelli Strugatski, note soprattutto in Russia.

E fu proprio un russo, il regista Andrej Tarkovskij, a risultare determinante nella scoperta o riscoperta di Lem al di fuori dei Paesi dell’allora blocco socialista europeo grazie al film ‘Solaris’. Presentato nel 1972 con l’infelice appellativo di ‘risposta sovietica a 2001: Odissea nello spazio‘ il film di Tarkovskij è un adattamento dell’omonimo libro pubblicato undici anni prima da Lem. Premiato con una prestigiosa Palma d’Oro al festival di Cannes, ‘Solaris’ ottenne un buon successo di pubblico a livello internazionale. Pur non essendo granché amato da Stanisław Lem, è innegabile che il film abbia giocato un ruolo cruciale nel dare il la alla traduzione in altre lingue delle opere dello scrittore polacco. Non a caso la prima edizione italiana di ‘Solaris’, pubblicata da Editrice Nord per la traduzione di Eva Bolzoni, è datata 1973 pur essendo altre opere di Lem già disponibili in Italia negli anni ’60. Quarant’anni più tardi è toccato a Vera Verdiani – già traduttrice delle opere di Kapuściński – lavorare a una nuova e più accurata versione di ‘Solaris’ uscita per i tipi di Sellerio con un’introduzione di Francesco M. Cataluccio.

 Il castello altoScritto nel 1975 e pubblicato per la prima volta in italiano solo nel 2008, ‘Il castello alto’ (Wysoki zamek) – edito da Bollati Boringhieri e tradotto da Laura Rescio – è quanto di più lontano dalla fantascienza filosofica o divertita di Lem si possa immaginare. Nelle 139 pagine del libro, l’autore di ‘Solaris’, ‘Il congresso di futurologia’ e dei racconti di ‘Cyberiade’ descrive infatti la propria infanzia a Leopoli negli anni che precedono la Seconda Guerra Mondiale.

Nato nel 1921 da un’agiata famiglia della borghesia polacca di origine ebraica, il giovane Stanisław  si descrive a più riprese e senza tanti giri di parole come un bambino solitario, viziato dai genitori e incline alle marachelle domestiche. Incuriosito tanto dal funzionamento di un carillon quanto dalle illustrazioni sui libri di medicina del padre dottore, il futuro scrittore non esita a smontare, distruggere, strappare attratto in egual misura dalla sete di conoscenza e dal fascino del proibito. A posteriori è facile identificare nell’incessante apprendimento cinestetico del Lem bambino, il futuro studente di medicina, scienze biologiche e cibernetiche presso l’Università Jagellonica di Cracovia. Se la passione smodata e indagatrice per gli oggetti e gli ammennicoli del quotidiano del giovane Stanisław richiama alla mente ‘le buone cose di pessimo gusto’ di Guido Gozzano, la solitudine infantile del futuro scrittore lo accomuna al piccolo Vladimir Nabokov.

Abile nel descrivere il ricco ma precario equilibrio multiculturale della Leopoli degli anni ’30 – simile in questo alla coeva Vilnius descritta da Miłosz – Lem è meno preciso e dettagliato nel parlare dei genitori o dei compagni di scuola. Ecco perché la sensazione ricorrente, leggendo ‘Il castello alto’ è quella di un bambino e poi di un ragazzo introverso più interessato a osservare oggetti e fenomeni naturali che a comunicare con il prossimo. Non sorprende quindi che la vera coprotagonista de ‘Il castello alto’ sia la città di Lwów / Leopoli palcoscenico delle esplorazioni prima domestiche e poi urbane del piccolo Stanisław Lem. Una città che vivrà un destino atroce e beffardo, scampando sì alla distruzione completa sofferta da altri centri urbani durante il secondo conflitto mondiale, ma vedendo la maggior parte dei propri abitanti anteguerra uccisi, deportati o trasferiti d’ufficio nella nuova Polonia dopo l’annessione di Leopoli all’Unione Sovietica. Come decine di migliaia di suoi concittadini, anche il ventiquattrenne Stanisław Lem – sopravvissuto assieme alla sua famiglia grazie a documenti falsi – fu costretto ad abbandonare Lwów alla volta di Cracovia. Il libro, tuttavia, termina prima delle privazioni belliche, come a volere sottolineare che fu lo scoppio della guerra a interrompere l’età dell’innocenza, tanto per Lem quanto per la sua Leopoli.

Oggi città ucraina con il nome di L’viv, della Lwów descritta da Lem restano molti palazzi, scorci e monumenti inclusi il maestoso teatro dell’Opera e le rovine del cosiddetto Castello Alto in cima a una collina. Persa, tuttavia, è quell’atmosfera irripetibile di coesistenza e arricchimento multiculturale che ha giocato un ruolo tanto importante nel solleticare la curiosità di un futuro maestro della letteratura fantascientifica mondiale. Un autore che forse pochi annoverano fra i grandi della letteratura polacca, ma i cui romanzi e racconti di sci-fi hanno saputo convincere pubblico e critica. Ecco perché, per fortuna, oggi si possono leggere libri di Lem in italiano senza essere costretti ad affannose o infruttuose ricerche fra librerie, biblioteche e mercatini dell’usato.

Altri consigli di lettura:

Solaris (Sellerio, 2013 – trad. di Vera Verdiani)

Il congresso di futurologia (Marcos y Marcos, 2003 – trad. di Sandra Cecchi)

Cyberiade (Marcos y Marcos – trad. di Riccardo Valla)

La voce del padrone (Bollati Boringhieri, 2010 – trad. di Vera Verdiani)

Fiabe per robot (Marcos y Marcos, 2005 – trad. di M.Borejczuk)

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