PoloniCultori. Intervista a Leonardo Masi.

Riparte la rubrica PoloniCultori. Direttamente da Varsavia ai nostri “microfoni” Leonardo Masi.

di Lorenzo Berardi
 

Leonardo Masi PoloniCult 1Un fiorentino a Varsavia. Leonardo Masi è arrivato nella capitale polacca sedici anni fa e da cinque ci vive e lavora. Oggi è docente presso l’Università Wyszynski, traduttore di autori e poeti polacchi oltre che chitarrista classico con diversi concerti fra la Toscana e Varsavia e anche un disco all’attivo. Il suo amore per la Polonia e per la letteratura polacca «non è stato una folgorazione, ma è nato e si è sviluppato col tempo» racconta davanti a una tazza di tè in un caffè al pianterreno della Buw, la splendida biblioteca dell’ateneo di Varsavia. Ex studente di letteratura portoghese all’Università di Firenze, Leonardo ha scelto di laurearsi in polacco «perché mi incuriosivano i grumi di consonanti e i segni diacritici di questa lingua e volevo imparare come si pronunciassero, ma anche per l’ambiente piacevole e per la qualità degli insegnanti che ho trovato a lezione» ricorda oggi.

Leonardo, cominciamo dal principio. Quando sei arrivato in Polonia per la prima volta?

Nel ’98 e nel ’99 ho frequentato corsi di lingua di tre settimane invernali, mentre il ’99-2000 è stato l’anno in borsa di studio. In entrambi i casi ho vissuto a Varsavia. All’epoca, noi non polacchi eravamo ancora trattati come una novità, come persone esotiche da mostrare in giro. E gli stranieri che vivevano qui da tempo raccontavano degli anni in cui bastava arrivare qui con una chitarra e cantare Drupi per divenire un’attrazione. A dire il vero, al termine delle mie prime tre settimane polacche, pur avendo apprezzato l’ambiente dei polonisti italiani, Varsavia non mi era piaciuta o meglio, non l’avevo capita. La capitale è una città che va scoperta ed esplorata, in questo senso molto diversa dalla mia Firenze o da Cracovia con i loro centri storici ben definiti e simili a musei. Per Varsavia, invece, ci vuole tempo. E per me Varsavia è stata una progressiva conquista. Tanto è vero che nel 2009 ho scelto di tornarci per viverci con la mia ragazza.

Quattro anni prima, però, eri già finito sulla prima pagina del primo quotidiano polacco, Gazeta Wyborcza, come è capitato?

Nel 2005 mi trovavo a Varsavia in borsa di studio per scrivere la mia tesi di dottorato. Il mio amico Pierluigi Peggiani era qui per cercare lavoro e tutti i giorni mi proponeva progetti da realizzare assieme anche assurdi come l’import-export di jeans. Un giorno Pierluigi mi ha detto che in Italia avevano appena aperto il primo podcast radiofonico proponendomi di fare altrettanto in Polonia. Così ci siamo lanciati creando questa pagina Internet di prova. Prima che ce ne rendessimo conto, un giornalista di Gazeta Wyborcza si è accorto di noi e ha scritto un articolo che è finito dritto in prima pagina rendendoci d’un tratto famosi. Credo che la novità e la curiosità all’epoca non fosse tanto il podcast in sé quanto il fatto che due italiani in un polacco improbabile parlassero di Varsavia e infatti la nostra radio si chiamava Warsaw Calling. Tutti i contenuti erano in polacco e proponevamo anche delle goliardiche lezioni di italiano intitolate ‘Lingua in bocca’. Avevamo poi un programma culinario condotto assieme ad Alfredo, un reduce dell’Erasmus trasferitosi a Varsavia. Il programma si chiamava Kuchnia Dantego ossia ‘la cucina di Dante’ e consisteva in noi che cucinavamo piatti italiani alternando letture dantesche. Warsaw Calling è durata poco, ma Kuchnia Dantego è stata rilanciata nel 2009 da me e Alfredo che una o due volte al mese organizziamo delle cene in vari ristoranti di Varsavia leggendo Dante e variando menu. Si tratta di un appuntamento che esiste tutt’oggi ed èLeonardo Masi 2 PoloniCult divenuto abbastanza noto nella capitale perché in fondo è come invitare amici a casa per cena.

Docente, traduttore, musicista, cuoco e anche papà: come riesci a combinare tutte queste dimensioni?

Fino alla nascita di mio figlio, due anni fa, sono riuscito ad alternare la mia attività di docente e traduttore con quella di chitarrista classico; ora comprensibilmente faccio più fatica. Devo dire però che nel lavoro di traduzione di poesia e letteratura polacca, lo studio della chitarra classica come approccio all’opera artistica e intellettuale si è rivelato utile.

Vi è uno scrittore o un poeta, fra quelli da te tradotti dal polacco, alla cui opera sei particolarmente legato e, se sì, per quali ragioni?

Sono legato a tutti e tre i poeti che ho tradotto in volume, Tomasz Różycki, Krzysztof Karasek e Wojciech Bonowicz, anche perché ho avuto l’onore di diventarne amico. Su ognuno di loro ho lavorato per circa un anno, e sono state tre esperienze molto diverse, ma tutte ugualmente importanti per la mia formazione.

Che suggerimenti daresti, invece, a chi si avvicina alla Polonia e alla letteratura polacca per la prima volta?

Chiunque abbia passato un periodo di tempo in Polonia, si sarà accorto che il modo in cui i polacchi si definiscono non sempre coincide con il modo in cui sono percepiti dai non polacchi. La mia impressione è che molti polacchi siano convinti di essere unici, diversi – il che è ovviamente vero – però questa convinzione spesso si manifesta in complessi di superiorità o di inferiorità o entrambi contemporaneamente. Mi piace molto un passaggio del romanzo “Viali dell’indipendenza” di Krzysztof Varga, che ho tradotto, in cui l’autore immagina che un aereo polacco sia stato rapito dagli abitanti di Andromeda, che controllano il nostro pianeta:

“nessuno, neanche gli extraterrestri di Andromeda, era più in grado di capire cosa stesse succedendo in Polonia da duecentocinquant’anni a questa parte. I polacchi, così famosi per il valore, il coraggio e l’amore per la libertà, rappresentavano un caso impossibile da risolvere per le civiltà aliene superiori alla nostra. Le menti analitiche degli andromediani non riuscivano a venire a capo dei paradossi della storia polacca e della complicata struttura mentale dei fieri e nobili lechiti […] Erano arrivati a capire perfino i russi. Ma dei polacchi, purtroppo, non riuscivano a venire a capo”.

Il bello di questo popolo è anche la grande autoironia, che si trova in autori come Gombrowicz, il cui Ferdydurke forse è il primo romanzo al quale chiunque voglia leggere qualcosa di letteratura polacca dovrebbe accostarsi. Un altro grande è Bruno Schulz. Per chi ama storie più tradizionali poi, ci sono i racconti di Iwaszkiewicz. Mentre per quanto riguarda la poesia, qualsiasi classico del Novecento si scelga, la qualità è garantita. Parlando di cinema, secondo me i film di Wojtek Smarzowski sono quelli che rappresentano meglio i punti cruciali della cultura, della storia e del modo di pensare dei polacchi, anche se ahimè non sono proprio allegri. Consiglio il primo film, Wesele, che nella sua spietatezza è comunque divertente.

Hai notato un maggiore interesse da parte degli italiani nei confronti della Polonia e della cultura polacca negli ultimi anni?

Sì e credo che il merito vada anche alle istituzioni polacche. La Polonia oggi investe nella diffusione della propria cultura all’estero. Per esempio, esiste un programma che finanzia le traduzioni. Per cui se voglio tradurre qualcosa dal polacco all’italiano, posso provare a ottenere questo finanziamento istituzionale permettendo così all’editore italiano di pubblicare nel migliore dei casi senza dovermi pagare. I polacchi sono anche molto attivi nell’organizzare festival all’estero e nel sensibilizzare direttori d’orchestra di fama internazionale ad eseguire musiche di compositori polacchi e così via. Osservo – con piacere, perché su di lui ho scritto la tesi di laurea – che le musiche del compositore Karol Szymanowski vengono scoperte, eseguite e incise con sempre più frequenza fuori dalla Polonia.

E se potessi nominare un luogo, un autore e un musicista necessari per cominciare a capire la Polonia cosa e chi sceglieresti?

Un luogo: Sandomierz. Un autore: Witold Gombrowicz. Un musicista: Czesław Niemen.

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