Il giardino dei cosacchi. Un po’ di vita accanto a Dostoevskij.

Il giardino dei cosacchi

Jan Brokken, maestro olandese delle biografie romanzate, ci immerge tutti con calore e precisione negli anni siberiani di Fëdor Dostoevskij.

di Salvatore Greco

Il contributo che la letteratura russa dell’Ottocento ha dato all’umanità è probabilmente tra le più fedeli definizioni possibili della parola ‘inestimabile’. Tanto e tale il mondo creato e descritto, ma anche compianto e squarciato, dai grandi romanzieri russi del XIX secolo che cognomi come quelli di Tolstoj, Gogol’, Turgenev e Dostoevskij sono diventati simboli collettivi persino al di là delle stesse opere da loro consegnate al pubblico. Dostoevskij in particolare, oltre a essere probabilmente il più noto tra tutti i citati, ha creato attorno a sé un’immagine ricca di stimoli e suggestioni; si può dire in un certo senso – ma senza cadere nel tranello critico del facile biografismo – che Dostoevskij stesso sarebbe il perfetto personaggio di un romanzo di Dostoevskij. Se ne è accorto nel tempo il mondo letterario, se ne è accorto soprattutto Jan Brokken che all’autore di Delitto e castigo ha dedicato il suo ultimo romanzo, uscito per i sempre encomiabili tipi di Iperborea: Il giardino dei cosacchi.

Brokken non è nuovo alle ambientazioni est europee, che infatti avevano già ispirato il suo fortunatissimo Anime baltiche, ma con Il giardino dei cosacchi ha compiuto il desiderio nascosto di molti di rendere Dostoevskij un personaggio letterario. Fëdor Michailovič, tuttavia, non è il protagonista titaneggiante del suo romanzo di cui non è nemmeno il vero protagonista; la voce narrante infatti è quella del giovane barone Aleksander von Wrangel, rampollo della media nobiltà pietroburghese che conobbe Dostoevskij durante il suo periodo siberiano. L’abilità di Brokken si misura anche nel dare piena dignità al suo narratore che non sfigura accanto a Dostoevskij e non finisce a fare la sua spalla narrante ma vive le sue vicende con la stessa intensità di quelle del suo tormentato amico scrittore.

L’antefatto dell’incontro fra i due, avvenuto a metà del secolo in un piccolo centro della Siberia colonizzata dai russi, è presto detto: nel 1849 Dostoevskij venne arrestato assieme agli altri membri di una società segreta con l’accusa di progettare un attentato ai danni dello zar Nicola II. Il reato era di per sé sufficientemente grave da meritare la pena di morte, ma in un complesso misto morale di pietà e crudeltà lo zar decise di commutare la pena in detenzione ai Il giardino dei cosacchilavori forzati in Siberia, dandone comunicazione ai condannati solo un istante prima che il boia ne sancisse la morte, pronti sul patibolo dopo aver recitato le loro ultime preghiere. Questo fatto, comprensibilmente cruciale nella vita di Dostoevskij, fece sì che finisse in Siberia dove sarebbe rimasto per nove anni di cui quattro ai lavori forzati e gli altri di detenzione “semplice”. Fu in quel periodo che conobbe Wrangel, inviato invece come burocrate in Siberia per compiere il suo cursus honorum nella arruffata carriera diplomatica imperiale.

Prima che la storia li facesse incrociare, Wrangel conosceva già Dostoevskij di fama, il suo romanzo Povera gente lo aveva già reso piuttosto noto prima dell’arresto, e aveva assistito da ragazzino alla crudele condanna sfiorata da parte dello scrittore. Il romanzo inizia proprio da qui, in una Pietroburgo ricostruita alla perfezione e con grande fervore di dettagli vista dagli occhi di un ragazzino turbato dalla follia dello zar Nicola. Quando poi Wrangel raggiunge la Siberia, l’incontro tra lui e Dostoevskij è un sollievo per entrambi: la terribile provincialità delle estreme periferie dell’impero è un martirio delle anime per due personalità curiose, vivaci e votate alla scoperta e alla riflessione come sono quelle del buon Wrangel e del tormentato Dostoevskij. I due si fanno compagnia leggendo fino allo stremo i giornali, che in Siberia arrivano a pacchi una volta ogni settimana, sfogliando fino a logorarne le pagine i pochi libri, quale che sia l’argomento, parlando, scoprendo il mondo, provando a mantenersi in vita a vicenda e coltivando entrambi amori molto controversi e difficili per donne già sposate. Il giardino dei cosacchi che dà il titolo al romanzo è la residenza estiva che viene concessa al barone per sopportare la polverosa e calda estate siberiana, una tenuta che diviene anche casa dello stesso Dostoevskij una volta liberatosi dagli obblighi più stretti di coscritto. I due iniziano una vera e propria convivenza nella quale, assieme alle fantasticherie d’amore, Wrangel cerca di onorare il suo ruolo di tutore della legge in un luogo ancora profondamente selvaggio nei costumi, e Dostoevskij mostra il suo lato più profondo di indagatore dell’animo umano e la sua morbosa voglia di tornare a Pietroburgo, da uomo libero e da scrittore. Come recita efficacemente la frase citata in quarta di copertina:

“nella vita mirava solo a tre cose: scrivere, pubblicare e sposare l’amore della sua vita”

Per due uomini profondamente diversi eppure profondamente simili e affini la Siberia, da luogo inospitale e gretto, si trasforma in una quasi involontaria oasi felice, lontana dalla tossicità delle capitali e dalla corruzione strisciante dell’impero russo che fa capolino più volte nel romanzo. È un’esperienza di vicinanza e distanza assieme, che permette ai due di crescere e alla fine, una volta lasciato il giardino dei cosacchi, a tornare a Pietroburgo, senza che però le cose vadano davvero come i due avevano vagheggiato nei loro interminabili pomeriggi passati a fumare una pipa dopo l’altra.

Brokken confeziona un romanzo meticoloso e preciso, l’apparato di note alla fine è quasi degno di una pubblicazione scientifica, ma che al contempo nulla toglie alla piacevolezza della lettura. Anche senza sapere nulla della vita di Dostoevskij è possibile leggere Il giardino dei cosacchi come un romanzo sull’amicizia e sulla mutua salvezza che due anime affini possono concedere l’una all’altra in un momento in cui la vita si rende difficilmente intellegibile. Dostoevskij e Wrangel si spalleggiano e si sostengono e che poi le esperienze del primo lo porteranno ai viaggi tanto sognati e quelle dell’altro a diventare uno degli scrittori più famosi della storia resta quasi sullo sfondo. In sostanza a Jan Brokken riesce davvero di rendere Dostoevskij personaggio, senza che il suo essere protagonista si trasformi in biografia, ma mettendo la sua anima multiforme e colorata al servizio di una storia universale. Esattamente come Dostoevskij ambì a fare per tutta la sua carriera letteraria.

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