Norman Davies. Elogio della distanza

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Alcune considerazioni su Norman Davies, lo storico britannico che spiega la Polonia ai polacchi.

Si sa che la distanza dà una visione onnicomprensiva, permette allo sguardo di cogliere i particolari con la collocazione e la rilevanza loro proprie, senza ingigantirli. Più ci allontaniamo, più l’immagine si fa nitida e, com’è auspicabile, imparziale. Da questo punto di vista allora non ci stupisce troppo che il più importante studioso di storia della Polonia (se non il più importante, il più conosciuto e discusso) sia un inglese. Dire storia della Polonia, infatti, equivale a dire Norman Davies, e questo non solo per tanti lettori occidentali ma anche per gli stessi polacchi. Non c’è un polacco, anche solo mediamente istruito, che non l’abbia mai sentito nominare e che non abbia un’opinione su di lui; chiunque entri da “Matras” deve solo gettare un’occhiata alla sezione storia per veder campeggiare sullo scaffale più in vista poderosi volumi con il cognome Davies a dominare su tutti.

Ma facciamo un passo indietro e vediamo più da vicino di chi stiamo parlando.

Nato a Bolton nel 1939 da genitori di discendenza gallese, Norman Davies si laurea in storia all’Università di Oxford; dopo vari soggiorni di studio all’estero, principalmente in Francia e Italia, nel 1962 decide di intraprendere un viaggio alla scoperta dell’Unione Sovietica insieme ad altri giovani storici provenienti da diverse università europee. La comitiva non arriverà più in là di Varsavia, ma tanto basta, perché è proprio in quel momento che nasce in Davies l’interesse per la Polonia. Stavolta non si tratta della semplice curiosità del turista per il folklore, il paesaggio e i costumi, ma dell’interesse di uno studioso per un Paese che, per quanto vicino dal punto di vista geografico, viene comunque percepito come lontano ed “esotico” dalla maggior parte degli abitanti dell’Europa occidentale. Il frutto di questo interesse lo vediamo in un dottorato conseguito presso l’Università Jagellonica, nel matrimonio con una donna polacca, nonché in una serie di opere dedicate a svariati eventi della storia della Polonia. Si comincia con White Eagle, Red Star: The Polish-Soviet War (1972), poi God’s Playground, una storia generale della Polonia in due volumi, che abbraccia l’intero arco di tempo tra il X e la seconda metà del XX secolo (1981). A soli tre anni di distanza esce Heart of Europe, riedito in un’edizione ampliata nel 2001. Chi volesse andare più nel profondo, e capire sotto quali aspetti la Polonia possa diventare un oggetto privilegiato di interesse per uno storico, troverebbe un punto di partenza ideale proprio nel titolo di quest’ultimo testo. Lasciando da parte la posizione geografica, perché proprio la Polonia dovrebbe essere il cuore di quel corpo articolato e complesso che è il continente europeo? La risposta ce la dà Davies stesso nei propri libri: tutto ciò che è successo in Europa nel corso dei secoli, tutte le guerre, i fenomeni politici, le correnti religiose e culturali, ha dovuto toccare anche la Polonia. Al punto che la sua storia può diventare un compendio di tutta la storia europea. Ma la Polonia è stata anche luogo d’incontro: all’interno dei suoi – sempre troppo mutevoli – confini, Oriente e Occidente, due sistemi di ideologie e visioni del mondo radicalmente diverse, si sono affiancati ed hanno trovato una patria comune. Non solo, ancora oggi in Polonia, dietro i locali alla moda e le tecnologie più all’avanguardia, è possibile ritrovare le tracce di quell’Europa contadina, legata al cattolicesimo, che sembrava scomparsa per sempre.

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(God’s Playground è talmente diventato di culto da ispirare persino un gioco da tavolo a tema storico-polacco)

Quando finalmente la caduta del regime comunista permise che fosse tradotto in polacco, nel 1989, God’s Playground fece subito parlare di sé.  Ad oggi è arrivato alla quinta edizione in Polonia e non sembra aver perso la propria freschezza per i lettori polacchi. Sebbene Davies abbia scritto altri libri incentrati sulla Polonia – ricordo anche Jews in Eastern Poland and the USSR, 1939–46 (1991) e Rising ’44: The Battle for Warsaw (2003) – God’s Playground rimane il più letto e il più discusso. E in effetti sono molti gli aspetti delle opere di Davies che suscitano perplessità. Per esempio il fatto che dedichi molta attenzione alle diverse etnie che nel corso dei secoli hanno vissuto a fianco dei nativi polacchi, spesso a prezzo di duri scontri e violenze. Questo è sicuramente il caso del rapporto tra i polacchi e il popolo ebraico,che gli ha fatto guadagnare un’accusa di antisemitismo. Non addentriamoci in questo territorio minato; basterà ricordare che, a detta degli storici che hanno dato voce al proprio dissenso sulle pagine del “New York Times” e dell’ “Observer”, Davies si dimostrerebbe fin troppo tenero nei confronti dei polacchi per quanto riguarda la questione ebraica. Da parte sua, però, nelle interviste rilasciate lo studioso suggerisce di aver sempre saputo guardare con maggior lucidità di altri ai problemi della Polonia, e questo proprio per il fatto di appartenere ad una cultura diversa ed estranea a tali problematiche. È la distanza che permette di vedere nella Polonia attuale, decisamente omogenea dal punto di vista etnico, l’ultimo stadio evolutivo di un organismo statale in origine multietnico e multiconfessionale. In questo, lo sguardo di Davies si dimostra sicuramente più lucido di quello dei tanti polacchi che invece tendono a vedere la Polonia come un monolite lasciato immutato dalla storia. Detto fra noi, il nazionalismo sentimentale (e francamente esasperato) di tanta parte del popolo polacco è sempre stato il bersaglio prediletto degli strali dei più “internazionali” tra gli autori polacchi come Gombrowicz e Miłosz; ma di questo parleremo un’altra volta.

È sempre la distanza, per concludere, che dà la freddezza necessaria nel discutere se si possa davvero attribuire una responsabilità alla Polonia in merito all’Olocausto, o se invece anche i polacchi, come gli ebrei, siano stati piuttosto vittime del nazismo.

God’s Playground non è mai stato tradotto in italiano, ma per chi domina abbastanza l’inglese è una lettura interessante e godibilissima.  Sempre dalla sua penna, in italiano possiamo però goderci Microcosmo. L’Europa centrale nella storia di una città: una silloge di tutte le più importanti esperienze dell’Europa centrale viste attraverso il prisma della storia di Wrocław.

Valentina Pozzati

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